La salvezza dell’oblio: il rapporto con la storia nella poetica di Emir Kusturica.

Nel corso dell’ultimo anno, complice l’intensità del periodo storico che stiamo attraversando, navigando in rete mi è capitato spesso di imbattermi in una parabola conosciuta come la ‘storia del contadino cinese’. Un racconto semplice e dal significato profondo, riproposta con maggiore frequenza allo scopo di dare uno spiraglio di luce a chiunque si trovi ad affrontare momenti di difficoltà.

La storia del contadino cinese parla di un uomo anziano dedito a una vita prudente e modesta. Giorno dopo giorno si susseguono una serie di eventi per cui le persone attorno a lui iniziano a giudicarlo a volte molto fortunato e altre estremamente sfortunato. Lui, al contrario, non si sbilancia mai, limitandosi a rispondere alle considerazioni positive e negative con un semplice “forse, forse”, per nulla interessato a cercare una definizione esatta del momento che si trova a gestire. Piuttosto di farsi sopraffare dalle emozioni, preferisce aspettare di poter verificare gli effetti reali dell’accaduto, invitando di riflesso il lettore ad esercitarsi a stare nel presente con fiducia e speranza, abbandonando l’ansia di voler controllare quanto in realtà è imprevedibile.
A chi non è mai successo di ritrovarsi a programmare una realtà immaginaria facendosi assorbire dagli stati d’animo, condannando oppure osannando in maniera definitiva i singoli passaggi della propria vita fino a dimenticare la consistenza evolutiva della storia?

Foto: Zoran Trbović/XXZ

La pazienza dimostrata dal contadino ricorda l’importanza di attraversare il presente scandendolo passo dopo passo, e in questo modo ‘resistere’ nella realtà restando in equilibrio tra gli alti e bassi della vita. Farsi abbattere dai problemi o trascinare dall’entusiasmo rischia solo di confondere la consapevolezza con cui bisogna indagare la storia per non lasciarla procedere in balia degli eventi. 
Anche il regista serbo Emir Kusturica suggerisce un approccio analogo, utilizzando altre parole con cui spiega innanzitutto come la salvezza, la resistenza del genere umano, risiede nella capacità che abbiamo di dimenticare. Ma è bene chiarire che la dimenticanza di Kusturica non è sinonimo di debolezza, fare finta di non vedere, al contrario deriva dalla scelta coraggiosa di affondare negli eventi in modo da comprenderli e poterli controllare, salvando oppure oscurando quanto necessario. Infatti, quando all’inizio della sua autobiografia Dove sono in questa storia l’artista specifica la motivazione da cui è stato spinto a lavorarci sopra per ben quindici anni, parte dal definirla il risultato dell’inclinazione dell’uomo a dimenticare. Un esercizio di selezione della memoria intrapreso in seguito alla sofferenza provocata dalle guerre balcaniche, avendo deciso di praticare l’oblio come tecnica di sopravvivenza e consolazione.

La dimenticanza di Kusturica non è sinonimo di debolezza, fare finta di non vedere, al contrario deriva dalla scelta coraggiosa di affondare negli eventi in modo da comprenderli e poterli controllare, salvando oppure oscurando quanto necessario.

Questo processo diventa la soluzione per allontanare pensieri carichi di tensione e, al contempo, il modo per lasciare un documento capace di suggerire a tutti il posto da lui occupato nella storia senza correre il rischio di fraintendimenti causati dal sovrapporsi di memorie confuse ed errate.
Voglio scrivere un libro e spazzare meticolosamente le sale del mio cervello in cui vagano i ricordi, e poi separare da quel mucchio ciò che altrimenti finirebbe nascosto, come il sole dietro alle nuvole. Non sarebbe bene se, dopo che io sarò partito per il viaggio eterno, i battiti della mia anima rimanessero per sempre inaccessibili”.
Così procede creando una composizione apparentemente caotica e surreale, applicando alla scrittura lo stesso realismo magico portato nella musica e nel cinema. Una struttura in cui si intrecciano digressioni, colpi di scena, descrizioni disordinate di personaggi eccessivi e visioni altalenanti tra estrema malinconia e delicata poesia di cui si serve per esplorare la complessità della vita – dalle banalità del quotidiano alle emozioni più profonde – e ricostruire poi la sua storia in parallelo a quella di un paese ormai scomparso, la Jugoslavia, che promette di amare per sempre.
Lungo l’intera narrazione tiene centrale l’analisi del rapporto di noi uomini con il tempo, inteso non tanto come dimensione astratta ma composizione animata di cui facciamo parte in quanto frammenti di storia. Lo suggerisce già il titolo scelto, e ci riesce in maniera ancora più esplicita quello del testo originale in serbo, La morte è una voce infondata. Si tratta di una rivelazione fatta dall’amato padre a un Emir ancora bambino quando, per tranquillizzarlo dalla visione di un uomo morto, gli dice ridendo “nessuno di noi è stato morto, in modo da controllare com’è veramente questa faccenda della morte”.
Fidandosi di lui, in quel preciso istante il ragazzo dimentica la paura provata e pratica, ancora inconsapevolmente, la tecnica dell’oblio. Lascia indietro il ricordo e compie il primo passo dentro una dimensione fantastica, definita pian piano in base alle necessità di sopravvivenza. Una realtà dotata della stessa magia con cui anima la sua poetica, giungendo a noi per alleggerirci, spiegando che è possibile sopravvivere alle inevitabili crisi storiche o personali solo facendo spazio intorno e dentro di noi, così da offrire allo sguardo una prospettiva libera e avere sempre chiaro dove siamo in questa storia.

Anna Gallo, PhD in Design e Innovazione, autrice e ghostwriter. 
Il suo campo di ricerca indaga l’archivio come luogo dinamico di conoscenza.
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