Caro Ray. Lettera aperta a Ray Bradbury.

Caro Ray, il foglio bianco, su cui è ancora da scrivere una lettera per il mio punto di riferimento letterario, è già di per sé un ostacolo. Mi verrebbe da chiederti come ci si confronta con un autore del tuo livello.

Come evitare la banalità confrontandosi con una mente che è riuscita a forgiare i due capolavori d’immaginazione “Cronache Marziane” e “Fahrenheit 451”? Non si può ricadere in un semplice encomio, quando si ha la possibilità di dialogare con una penna il cui scopo dichiarato è instillare il dubbio e la critica nel lettore. Non a caso hai scelto di spaziare entro un genere letterario che si presta ad affrontare temi sociali e politici: prima la fantascienza, poi la distopia. Disinteressato ai temi prettamente tecnici legati all’esplorazione dello spazio, hai composto Cronache Marziane in modo tale da far sospendere la razionalità in favore dell’immaginazione, dell’immedesimazione e dell’empatia. Pur esplorando nei 28 racconti i più disparati scenari, fantasticando sulla lontanissima idea di esplorazione e conquista di Marte da parte dell’uomo, hai voluto riportare alla mente temi squisitamente terrestri come il contatto con la natura oppure il rapporto con il diverso. Spicca per originalità e tatto la scelta di inserire in una cornice di ambientazione futurista dei sentimenti intimi che cozzano con la concezione dell’uomo come macchina – anche se perfetta. Chiunque abbia letto le Cronache Marziane si è immedesimato in Benjamin ad esempio, uno dei primi lavoratori del pianeta rosso: nella sua lotta contro i poteri forti si batte per un’ideale, per ricordare l’importanza della natura. Si scorge tra le righe la condanna allo sfruttamento terrestre delle risorse naturali, in un silenzioso appello personale che anticipa i grandi movimenti per l’ecologia. 

Sia nella più stringente fantascienza che nella distopia di Fahrenheit 451 ti è venuto in soccorso un talento innato per la scrittura e la profonda conoscenza di regole sintattiche e retoriche, che ti hanno fatto spiccare nel panorama narrativo già a partire dagli anni ’50, un decennio che si presentò come punto di rinascita per un dibattito del tutto rinnovato. Sarebbe interessante ricordare insieme a te quel momento storico, fatto di una serie di grandi desideri: il ritorno alla normalità, la possibilità di pensare al futuro, ma anche un nascosto desiderio da parte dell’uomo comune di comprendere cosa aveva potuto scatenare gli obbrobri di fascismo e nazismo. L’intera dialettica degli anni della Seconda guerra mondiale era stata imperniata sulla contrapposizione del mondo occidentale ancora meritevole di quel nome contro le degenerazioni nate in Italia e Germania. Sebbene l’autoritarismo sembrava un mondo lontano e inconcepibile per gli Stati che si erano ersi a paladini della democrazia – Stati Uniti e Gran Bretagna tra tutti – restava nelle persone il germe del dubbio: e se fosse successo a noi? Perché e come interi popoli di due Stati così vicini culturalmente erano riusciti ad accettare delle dittature così feroci e opprimenti? 

Ray Bradbury è nato a Waukegan, Illinois, il 22 agosto del 1920.

Il tuo più grande capolavoro, Fahrenheit 451, si colloca ancora oggi come padre della distopia assieme a “Il nuovo mondo” di Aldous Huxley e “1984” di George Orwell; eppure come abbiamo già detto il tuo punto di partenza era un genere completamente diverso, la fantascienza, in cui la società umana non viene osservata così da vicino – anche se diversi spunti a riguardo vengono forniti. Cosa ti ha spinto a cambiare genere letterario in un modo quasi temerario visto l’ampissimo successo che stava già riscuotendo? Ho cercato a lungo di ipotizzare una risposta e un’idea plausibile mi è balzata in mente solo quando sono riuscita a cambiare punto di vista. La tua impellenza comunicativa sembra quasi trasudare dalle pagine e dalle parole che accompagnano passo passo il lettore sempre più all’interno della storia del protagonista Guy Montag. Uomo giovane e promettente, è un pompiere in un mondo rovesciato in cui il regime dittatoriale usa le forze dell’ordine per reprimere in modo sistematico ogni forma di dissenso. Il titolo stesso è eloquente: Fahrenheit 451 è la temperatura – corrispondente a 232 gradi Celsius – di combustione della carta, formula riportata anche sugli elmetti dei pompieri che vengono qui incaricati di appiccare il fuoco ai libri. La letteratura viene vista a ragione come mezzo di diffusione di pensieri, idee e sentimenti scomodi in una società concepita per dominare l’individuo in ogni suo ambito. A partire dalla sessualità per arrivare fino alla fantasia, Montag – uno tra tanti – viene plasmato in ogni aspetto della sua vita. È ingabbiato in un mondo ideato per ridurre le variabili individuali perché troppo pericolose. Per questo da paladino del regime diventa trasgressore della legge, si libera dalle catene che gli impediscono di seguire il suo istinto e decide di ribellarsi al silenzio dell’intelletto imperante. Grazie alla distopia dunque si crea la possibilità di toccare ogni ambito della vita umana, ammonendo i governanti e scuotendo le anime dei lettori che si sentono in prima persona tirati in ballo. È una tautologia ben riuscita, perché nel mondo descritto dal racconto il lettore stesso sarebbe privato della possibilità di leggere, anestetizzato – in modo quasi profetico – dalla strumentalizzazione dei mass media e della tecnologia. 

Fahrenheit 451 è la temperatura – corrispondente a 232 gradi Celsius – di combustione della carta, formula riportata anche sugli elmetti dei pompieri che vengono qui incaricati di appiccare il fuoco ai libri.

Le tue opere non sono di certo pensate per chi ama la tranquillità e la prevedibilità di una vita già scritta; toccano corde profonde e tematiche radicate nell’essere umano in migliaia di anni di storia. È presto spiegato anche il perché della deviazione dal tuo genere originario: la fantasia in cui l’invito alla riflessione veniva solo accennato sembrava ormai andarti stretta. Mentre erano ancora vive nell’immaginario comune le fiamme ardenti dei roghi di libri di Berlino e Norimberga, c’era il bisogno di raccontare una distopica ma verosimile storia di ribellione e resilienza. È così che anche in uno scenario dittatoriale la speranza del genere umano ricade sulla voglia del singolo di pensare diversamente, di seguire degli alti ideali e non accettare aprioristicamente il pensiero calato dall’alto. Sono i personaggi – anche secondari – che si ancorano ai loro valori gli unici a dimostrare lo scintillio tipico dell’animo umano: l’amore per la lettura diventa amore per la libertà in un sillogismo talmente trito che viene spesso dato per scontato. 

Mentre si leggono le tue opere ci si sente fortunati e portatori di un alto grado di responsabilità allo stesso tempo, e di questo vorrei ringraziarti. È chiaro ormai che spero vivamente di essere contraddetta nel nostro scambio, perché tu stesso mi hai spiegato che la contraddizione è il primo passo per la crescita personale. 

Cordiali saluti, 

Nina Komadina

Nina Komadina, studentessa di Scienze Internazionali e Diplomatiche e content creator. 
Co-direttrice e caporedattrice di Koliba network.
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