Chi lo conosce sa che Dostoevskij è un autore esigente, che con il suo stile prolisso e i suoi dialoghi estenuanti, può spingere il lettore all’esasperazione e all’impazienza. In cambio però Dostoevskij offre riflessioni su temi concretamente attuali: la solitudine, la lotta con l’altro e con l’esterno, la morte, la fede. Ed è appunto il contorto e tortuoso flusso di parole che porta con fatica ai ragionamenti più profondi e conduce il lettore verso un valore che difficilmente è raggiungibile con 140 caratteri o 15 secondi di video a cui siamo abituati.
Una delle prime motivazioni che può spingere al riavvicinamento con Dostoevskij è la similitudine tra la solitudine dei suoi personaggi e quella che siamo costretti a vivere dall’inizio della diffusione del Covid.
Improvvisamente privati di molti contatti sociali ci siamo ritrovati soli con noi stessi, con l’assenza di distrazioni e la costante presenza dell’interiorità. Molti sono riusciti ad approfittare di questo tempo per scavarsi dentro e trovare qualcosa di migliore lavorando sui propri sogni e desideri. Molti si sono lasciati andare alle parti più annoiate e spente di sé. La solitudine è forse simile a quella del protagonista di Notti Bianche (1848), che nella sua vita di isolamento, sfrutta la sua immaginazione per creare un mondo di fantasia, perdendo il contatto con la realtà. Fino a quando incontra una ragazza simile a lui, Nasten’ka, con cui condivide racconti, confessioni, speranze, e di cui si innamora. Tuttavia, il seme dell’amore è semplicemente la mancanza di attività e di emozioni che governava la vita di entrambi. Il cuore di lei appartiene ad un altro ed è possibile che lui torni ad una quotidianità di fantasticherie sterili. Non è forse successo anche a tutti noi, nella solitudine, di non riuscire a controllare e ridimensionare emozioni e opinioni?
Al tempo stesso, nella solitudine, bisogna arrivare a fare esperienza della vita. Come dice Georges Bataille ne L’esperienza interiore, questa significa “l’approvazione della vita fin dentro la morte” e al tempo stesso la contestazione di sé, dei propri modelli e limiti. Soprattutto di fronte ad una realtà controversa e un’informazione spesso adattata a specifici interessi e mancate prese di responsabilità, partire dalla contestazione di sé stessi è fondamentale per affrontare la tensione continua tra interno ed esterno. I monologhi e i dialoghi interiori di Dostoevskij possono accompagnarci in questo percorso, in cui si analizza in profondità l’animo umano e l’individuo, senza ignorare o escludere anche le parti peggiori della nostra natura. Questo può essere un passo fondamentale per comprendere meglio la situazione globale, così come la nostra personale posizione e il nostro valore all’interno di essa.
L’altra faccia della medaglia, il rischio che si corre, è quello di vivere poi nella commiserazione di sé stessi e della propria condizione, così come l’uomo di Memorie dal sottosuolo (1864), protagonista dello sdoppiamento e della contraddizione, del vedere di sé solo il negativo, e del nutrirsi di rimorso ed umiliazione. La via di fuga da questa situazione, individuata successivamente da Dostoevskij, è quella dell’unità e dell’accettazione dell’altro con amore ed umiltà, in ottica fortemente cristiana. Affascinato dall’idea della figura di Cristo, l’autore russo lo emula attraverso dei personaggi buoni e quasi perfetti: Myškin, protagonista dell’Idiota (1868) e Alëša ne I fratelli Karamazov (1880).
Come si può parlare di Cristo senza affrontare il tema della fede e della morte? La mancanza di sicurezza e di certezza che si insidia sempre di più nella realtà ha sicuramente risvegliato in molti un riavvicinamento alla fede religiosa. Se non religiosa, è nata una fede basata sulla cooperazione, o semplicemente una fede spontanea e speranzosa del #andràtuttobene. Davanti alla morte siamo stati scossi e riportati alla realtà della fragilità umana, allontanandoci finalmente da un’ottica troppo ottimista e positivista, in cui ragione e tecnologia sono stati i fondamenti dell’esistenza, alla base del consumismo del XXI secolo. Attraverso opere come Delitto e Castigo si può anche comprendere, con tortuosità logica e interminabili flussi introspettivi, come recuperare la fede e l’amore, l’onestà nei confronti di sé stessi e il valore di certi principi universali e certe leggi indissolubili: al di là di religioni e culti, il valore della vita e della dignità di ognuno può essere considerato una verità assoluta.
Questi concetti così complessi e profondi sono semplificati e minimizzati dalla comunicazione a cui siamo abituati: dal telegiornale, da Instagram, TikTok e YouTube. Ma con la lettura di grandi autori si può stimolare la propria mente verso una ricchezza di pensiero e una intensità di ragionamento. Dostoevskij può aiutare a soddisfare la propria sete di verità, approfondire per superare separazioni, trovare con il tempo una capacità di analisi priva di giudizio.
Confrontare sé stessi con i personaggi dostoevskiani può essere doloroso e complesso, essendo essi delle estreme rappresentazioni di certi sentimenti ed esperienze spesso nascoste e occulte. Confrontarsi con qualcosa di negativo e completamente stravolgente come può essere una pandemia porta inevitabilmente a trovare dentro di sé quelle brutte caratteristiche che si volevano nascondere: estremismi di opinioni, insofferenza della vita, chiusura verso il prossimo che non sia un conoscente, sfiducia nei confronti di chi dovrebbe guidarci. Allora sarà semplice ritrovarsi nei percorsi tormentati dei romanzi di Dostoevskij e imparare qualcosa da essi soltanto se si ammetterà di essere stati imperfetti, di essere stati umani.
Il mio contatto con Dostoevskij è stato magico quest’anno. Ho conosciuto una ragazza il cui cane si chiamava Fëdor, ho ricevuto Memorie dal sottosuolo come consiglio da parte di una stretta amica di penna, ho ritrovato casualmente alcuni appunti della scuola legati a Delitto e Castigo. Così, dopo anni di incomprensione e insofferenza verso l’autore e il periodo storico in cui è immerso, ho deciso di farmi coraggio e cogliere i segni. Per primi ho riletto dei racconti, ancora spaventata dalla lunghezza dei romanzi. La profondità delle riflessioni scatenate in me mi ha spinta a iniziare L’idiota, e a divorare Memorie dal sottosuolo. Non smetterò di apprezzare questo autore nonostante il vivido dolore che descrive e che causa, poiché è nella cruda realtà descritta che spoglia la natura umana e tenta di accompagnare nelle più diverse avversità. Nessuno di noi è attrezzato per affrontare il cambiamento radicale della nostra esistenza che si sta verificando, e l’unico modo per sopravvivere è concedersi un cambiamento interiore che ci permetta di adattarci al nuovo.
Pandemia o non pandemia, è una grande virtù quella di riconoscere la necessità di crescita interiore ed esteriore, e uno dei pochi modi per attuarla è il confronto di noi stessi con gli altri, che, si sa, non sono altro da noi, ma una diversa espressione di una natura in comune. Con l’estremo realismo sulla condizione umana e le crude ammissioni, Dostoevskij ci accompagna in un’onesta rivelazione confortante, che in fondo, giace già all’interno della nostra essenza.
La virgola è la porta girevole del pensiero.
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