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Le case che abitiamo. Un viaggio da Manzoni a Coez.

La pandemia sembra aver segnato un confine netto tra prima e dopo, ma la realtà è cambiata forse meno di quello che percepiamo. Lo vediamo soprattutto con il concetto di "casa", tanto amato da secoli dall'arte, che aveva già anticipato il senso di isolamento dei nostri giorni.

Mai come ora il concetto di casa si sta impadronendo con prepotenza delle nostre vite quotidiane. Con le varie chiusure che si sono susseguite , è passata da luogo di rifugio a quasi prigione imposta. Una reinvenzione assoluta di un aspetto così familiare potrebbe destabilizzare, ma come al solito corrono in nostro aiuto la letteratura e la musica, che ormai da tempo immemore ci narrano il modo di intendere la dimora. Se pensiamo all’arte della penna, non possiamo che evocare i grandi edifici evocativi di un’intera atmosfera: da Catullo a Fitzgerald passando per Dickens, i grandi scrittori hanno caratterizzato i loro personaggi grazie alle quattro mura circostanti. Il carattere strettamente personale della casa l’ha resa immagine concreta, esternazione fisica del suo padrone, in un gioco in cui l’uno e l’altra si intrecciavano fino quasi a fondersi. Lo sapeva bene già Manzoni, che utilizzò il castello dell’Innominato per evocare sia la personalità che lo status sociale del temuto signore.
In questo caso a farla da padrone era l’altezza e la solitudine della rocca. Pur contornata da piccole case, non aveva alcun segno di condivisione umana: esse rappresentavano solo il suo imperio su tutto ciò che circondava la fortezza. Anche il territorio è aspro e spigoloso, come il carattere dell’Innominato, la cima della dimora la rende padrona naturale di un territorio che si perde a vista d’occhio.

“Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto.”

Felix

Continuando sul fil rouge dei grandissimi palazzi, come dimenticare l’iconico Grande Gatsby dipinto dal pennello di Fitzgerald? Inserendosi nel solco della tradizione manzoniana ma con una spinta ulteriore, la rocca di Vercurago si sposta nel Nord Dakota e diventa da un lato specchio della magnificenza del protagonista, dall’altro luogo di inganno che ogni sera accoglie migliaia di persone solo per poi risputarle nel grigio mondo esterno. Inconsapevoli, gli invitati vivono il loro momento di vita mondana divertendosi e quasi non interrogandosi sull’ospite che lì li accoglie. Tramite lo stile delle feste e l’immensità del luogo i più fantasiosi si inventano la loro propria versione del padrone di casa, cogliendone da perfetti ficcanaso solo i caratteri superficiali: la grandezza, la ricchezza, l’ignoto e, soprattutto, le attività malandrine. In questo nuovo scenario, a quasi un secolo esatto dalla prima edizione dei Promessi Sposi, il padrone di casa si appropria del proprio modo di presentarsi.
Mentre la potenza ma la sostanziale solitudine dell’Innominato si presentavano come un’estensione naturale della sua persona, la villa del Grande Gatsby è luogo sotto il suo pieno dominio. La consapevolezza è il vero elemento di novità introdotto da Fitzgerald, che riesce a rendere la casa sia il mezzo per eccellenza con cui scegliamo di presentarci agli altri – pur lasciando involontariamente intravedere dei particolari a favore degli occhi più attenti. Nel corso di un secolo la casa diventa cuore pompante, luogo di vita e di contatto con l’altro non per imposizione ma per vera e propria volontà. Il legame si stringe, si infittisce, e con le sue mani il protagonista plasma l’immagine di sé all’esterno.

Minty

L’evoluzione del rapporto casa-padrone si è poi riflesso anche nel mondo della musica, soprattutto per quanto riguarda la scena rap e hip-hop sia anglofona che italiana. In questo mondo la dimora è per eccellenza impero personale, territorio protetto e posseduto di chi canta. L’entrata, a differenza delle terre manzoniane e della villa stelle e strisce, non è libera e concessa a chiunque ne abbia voglia e discrezione. Varcare la soglia delle barre ritmate implica chiedere il permesso del padrone di casa, che nel suo regno attorniato dalla sua crew ha quasi diritto di vita e di morte su ogni invitato. Si instaura così la retorica di conflitto tra vari rivali in una guerra che assume contorni non solo musicali, ma fisici molto concreti. In tempi ancora più recenti, la casa assume ulteriore profondità, anticipando quel senso di irrequietezza che ci ha accompagnati durante il lockdown. Nelle strofe di “Nella casaCoez lascia uscire il dolore, il risentimento che prova.

Davide Cantelli

L’introiezione all’interno della dimora è un tema caro anche alla letteratura più moderna, basti pensare all’ansia e la frustrazione che simboleggiano gli ambienti in cui vivono Zeno Cosini o il giovane Holden.
Quello che stiamo vivendo oggi non è una novità assoluta per la musica e la letteratura, ma era già stato anticipato dalle grandi penne del Novecento e dei primi anni duemila.
Possiamo benissimo notare come la trasformazione di una dimora in prigione passa per la costrizione, per la chiusura verso l’esterno. Quattro mura, per quanto familiari e personali, possono assumere contorni mostruosi quando la permanenza al loro interno diventa forzato.
Sostanzialmente non dobbiamo disperarci nel vivere questa nuova esperienza, non perché sia meno difficile ma perché – diciamocelo – mal comune mezzo gaudio.

Nina Komadina, studentessa di Scienze Internazionali e Diplomatiche e content creator.
Co-direttrice e caporedattrice di Koliba network.
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