Partire per mare, in un oceano digitale. I bucanieri del touch screen.

In un’epoca in cui il mare è fatto di dati, condivisioni e informazioni, ogni computer è un galeone e ognuno di noi è un marinaio. Naufragare però è rimasto semplice come lo era un tempo.


Al mondo esistono due tipi di persone: quelle che sono adatte al mare e quelle che non lo sono. Bernard Giraudeau non era di certo un marinaio, eppure le parole dello scomparso attore francese sono quelle che più riassumono l’immortale desiderio dell’uomo di lasciare la terra per navigare verso un nuovo orizzonte: Il mare insegna ai marinai dei sogni che i porti assassinano.

Per un marinaio infatti non c’è niente sulla terraferma. Tutto è già stato scoperto, tutto è palese. Con gli stessi luoghi, le stesse persone e gli stessi desideri che si ripetono in quel carosello infinito chiamato quotidianità. Per chi non è adatto al mare la quotidianità significa sicurezza, ma per un marinaio non è altro che monotonia. Per lui il mare è diversità e scoperta. È l’idea di qualcosa di nuovo. Qualcosa capace di andare oltre i confini. Un marinaio vede il mare come un compagno di avventure che, per natura stessa, cambia continuamente. Un oceano dove le possibilità sono infinite e ogni mattina c’è un nuovo orizzonte da raggiungere.

Noi marinai moderni prendiamo il largo quasi per svago. Un tempo un pescatore prendeva il largo dopo un’attenta preparazione e solo se doveva pescare del pesce. Noi invece non solo andiamo alla ricerca del pesce, ma cerchiamo qualcuno che ce lo porti a casa, ci spieghi come cucinarlo, ci consigli con quale vino abbinarlo o che lo recensisca per noi prima ancora di poterlo assaggiare.

Un tempo gli uomini di mare erano coloro che prendevano il largo esclusivamente per necessità o per portare avanti i loro mestieri: commercianti e pescatori che lavoravano con il mare e con i suoi abitanti; esploratori alla ricerca di nuove terre da aggiungere al mondo conosciuto; contrabbandieri intenti a superare le regole imposte dal proprio governo; pirati pronti a depredare qualche povero disgraziato o disgraziati che finivano vittime dei pericoli del mare. Prendere il largo significava spesso non tornare, ma chi tornava portava dietro di sé qualcosa che andava oltre al pescato o al bottino del giorno. Portava con sé delle storie che venivano raccontate nelle locande o davanti ad un fuoco. Semplici distrazioni per chi era appena tornato in porto, ma vere e proprie leggende per chi invece non prendeva mai il mare.

I tempi sono cambiati, così come hanno fatto le tecnologie. Il nostro mare si chiama internet, le nostre isole sono i siti, mentre le nostre navi sono computer e smartphone su cui le dita di ognuno di noi vogano instancabili come rematori in una goletta nella speranza di raggiungere un nuovo porto e fare fortuna. Forse si è persa un po’ la magia del vero oceano, ma il mare della rete sa attirarci tra i suoi flutti proprio come se fosse pieno di sirene dal canto melodioso e irresistibile. E così incontriamo altri esploratori, raggiungiamo nuovi porti, impariamo nuovi mestieri e facciamo quasi quello che faceva un marinaio nel ‘600, solo che lo facciamo alla velocità della luce e senza muoverci dalla poltrona. Quelli che un tempo erano rapporti commerciali basati su alleanze tra popoli, volontà della natura e numerose ore di navigazione, diventano quindi click su Amazon e newsletter volte a fidelizzare migliaia di nuovi clienti senza bisogno di spendere settimane in mare per raggiungere l’altra parte del globo. Quelle che un tempo erano definite grandi esplorazioni, coadiuvate da esperti, studiosi e avventurieri, diventano oggi sinonimo di poche parole sconnesse buttate dentro la barra di ricerca di Google. E persino la pirateria, quella dei grandi arrembaggi, delle bende sull’occhio e delle gambe di legno è stata trasformata alla caccia al file Torrent per scaricare programmi, film o musica pirata così da non dover sborsare un centesimo.

Inoltre, noi marinai moderni prendiamo il largo quasi per svago. Un tempo un pescatore prendeva il largo dopo un’attenta preparazione e solo se doveva pescare del pesce. Noi invece non solo andiamo alla ricerca del pesce, ma cerchiamo qualcuno che ce lo porti a casa, ci spieghi come cucinarlo, ci consigli con quale vino abbinarlo o che lo recensisca per noi prima ancora di poterlo assaggiare. Ma non ci fermiamo solo a questo perché noi ci rivogliamo al nostro mare digitale per tutto. Magari iniziamo col cercare solo una ricetta per una zuppa di pesce e poi finiamo per comprare quattro paia di scarpe mentre in un’altra finestra teniamo aperta una chiamata Skype con un’amica e in un’altra ancora abbiamo in pausa la serie Netflix del momento.

Se prima erano i marinai a conoscere il mare, ora è il mare a conoscerci. Più navighiamo e più il mare digitale impara cosa ci piace, cosa mangiamo, che vestiti indossiamo, cosa guardiamo, quali sono le nostre abitudini e di quali svaghi abbiamo bisogno

Se prima erano i marinai a conoscere il mare, ora è il mare a conoscerci. Più navighiamo e più il mare digitale impara cosa ci piace, cosa mangiamo, che vestiti indossiamo, cosa guardiamo, quali sono le nostre abitudini e di quali svaghi abbiamo bisogno. E nonostante la sensazione di smarrimento che spesso proviamo, naufragar ci è sempre più dolce in questo mare. Oggi quindi noi siamo tutti uomini di mare, chi più chi meno. Perché il mare ci è entrato in casa e ha insegnato a tutti come navigare, anche se non è più fatto d’acqua e non è più quello affrontato dagli avventurieri narrati da Stevenson. A differenza di qualche secolo fa però il pescato del giorno è diventato quasi trascurabile per il commercio moderno. Sono le storie(s) delle locande invece ad essere diventate la nostra vera moneta di scambio. Narrate sui social, raccontate in un’immagine, in un podcast, un video, un meme o impresse su un sito proprio come le parole che state leggendo. Distrazioni che oggi abbiamo reso il motivo per cui prendere il mare e cercare fortuna.

Simone Alvaro Segatori, scrittore, cuoco, pirata.
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