Perché si dice omotransfobia e non omotransdiscriminazione?

A volte pensiamo alla omotransfobia come a un fenomeno estremo che riguarda solo politici di estrema destra o persone molto vecchie e retrograde. La verità è che è qualcosa che riguarda praticamente tutti noi.

Se ci pensate è un po’ stupido no? Omofobia, transfobia, bifobia sono termini ambigui. Vorrebbe dire che gli insulti, le discriminazioni, le violenze contro omosessuali, transessuali e bisessuali sono l’effetto collaterale di un sentimento di paura, un tentativo incontrollato di difendersi o un’improvvisa voglia di scappare via dal diverso?
Il termine fobia è sicuramente fuorviante. Si può avere paura dei ragni, senza alcuna ragione razionale, e sentirsi giustificato proprio per l’irrazionalità di quel sentimento non gestibile. Ma essere transfobici, è una scelta, spesso non individuale, ma collettiva, rimane quindi una responsabilità di cui in primis va presa coscienza.
Il termine omofobia (dall’ingelese homophobia) risale al lontano 1972 ed è stato coniato da George Weinberg ancora prima che l’omosessualità fosse depennata dalla lista delle malattie mentali nel 1974, per quanto riguarda il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali pubblicato dall’American Psychiatric. Mentre bisognerà aspettare il 17 maggio 1990 affinché anche anche l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) decida di depennare l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali.
Motivo per cui il 17 Maggio si celebra proprio la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia
Il termine transfobia deriva dall’inglese transphobia e sebbene circoli fin dai primi anni ‘90 in ambienti lgbt, entra nei dizionari solo nel 2013, inserito come neologismo nell’Oxford English Dictionary. In italiano ha una storia molto simile, le prime attestazioni le troviamo intorno al 2007 sui quotidiani nazionali, ma è solo negli ultimi anni che ne sentiamo parlare spesso, soprattutto ora che è in discussione l’ormai celebre DDL Zan che tratta proprio l’argomento discriminazioni ed è infatti conosciuta anche come legge contro l’omotransfobia. Una legge contro la paura, buffo no?

Immaginate possibile una legge contro l’aracnofobia? No, perché non è la stessa cosa. Come suggerisce Margherita Graglia nel suo “Omofobia – strumenti di analisi e di intervento”, quando parliamo di omofobia o di transfobia entrano in gioco non solo paura, ma anche disgusto, rabbia e l’ansia. Il termine fobia, inoltre, fa ombra su quelle che possono essere le motivazioni, sociali del sentimento; ad esempio l’ignoranza o il fatto di non essere entrati in contatto con persone omosessuali o transessuali. In sostanza sposta il focus da un problema collettivo, sociale e lo rende una questione individuale, alla stregua di una malattia, un difetto.
Sarebbe sia invece fondamentale prendere coscienza del fatto che si tratti di qualcosa che può essere “sconfitto” con un lavoro sul gruppo, di educazione, di divulgazione.
A volte pensiamo alla omotransfobia come a un fenomeno estremo che riguarda solo politici di estrema destra o persone molto vecchie e retrograde. La verità è che è qualcosa che riguarda praticamente tutti noi. Vi capita mai di essere per strada e girarvi se vedete una persona transessuale? A me è capitato, soprattutto se sono con altre persone che fanno lo stesso. Io, che della comunità LGBT faccio parte, non sono immune dalle discriminazioni, né dal farle né dal riceverle. L’omotransfobia è un affare sociale e nella società trova linfa vitale e forza.

Ancora una volta i termini sono fondamentali in questa battaglia. Alcuni studiosi suggeriscono l’utilizzo dei termini omonegatività e transnegatività che sono molto più ampi a mio avviso e anche meno perentori. Tutti possiamo avere avuto atteggiamenti di omonegatività o transnegativi una volta nella vita, senza per questo essere dei mostri, l’importante è iniziare a esserne consapevoli.
A me piace parlare di educazione piuttosto che di punizioni. Sono sicuramente favorevole al DDL Zan, ma spererei vivamente che non sia la paura di essere puniti, incarcerati o multati a fermare una persona dal perpetrare violenza su un altro essere umano. L’odio può passare attraverso una sguardo che non si può punire con il carcere. Punire è uno dei modi di disincentivare, di proteggere, ma non è la soluzione, è un piccolo cerotto su una ferita che continua a sanguinare.
Il dibattito che sta attraversando il nostro paese forse è già più importante della legge in sé, perché ha dato modo di affrontare l’argomento nelle scuole, tra amici, sul luogo di lavoro, oltre che ovviamente nei salotti politici.
In effetti la parte più importante del DDL Zan è un paragrafo di cui non si parla molto, cioè l’Istituzione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia: “al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione”. Una giornata per parlarne, per dare dignità e rilievo a un problema che causa puntuali manifestazioni di violenza in giro per il nostro paese.
Forse dovremmo aspettare ancora molti anni per vedere la parola omotransnegatività (o chi lo sa omotransdiscriminazione), sostituire la parola omoftransfobia. Così come ci sono voluti decenni per non sentir parlare più (quasi) di invertiti, di ricchioni e via dicendo. Chiaramente alcune parole vanno scelte nella comunicazione per farsi comprendere, perché la lingua è un codice che fa riferimento a realtà, concrete o immaginarie che siano, e quindi deve essere condiviso. Però quando ne abbiamo occasione è importante iniziare a familiarizzare con le parole più adatte, quelle che riteniamo più degne di portare con sé sfumature di significato che meglio si sposano con la società che vorremmo.
Io omotransfobia non la amo come parola, è cacofonica, pare un morbo incurabile, in effetti. Omotransnegatività ci rimanda a qualcosa di passeggero e trattabile. Se qualcuno ci dicesse:
– Oggi è nuvoloso, sono un po’ omotransnegativo
– Vedrai che domani andrà meglio.
Risponderemmo.

L’odio non è un male incurabile e tanto meno innocente. L’odio si rafforza e costruisce, nei discorsi politici, comuni, condivisi. L’odio è colpevole se incontrastato. Prendiamoci la responsabilità dei nostri atteggiamenti omotransfobici per iniziare a capire come combatterli e come vaccinarci dalla discriminazione di cui tutti possiamo essere vittime e carnefici.

La virgola è la porta girevole del pensiero.

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