Quanti match avrebbe Giacomo Leopardi su Tinder?

L'identità delle persone iscritte su una dating app, è sempre troppa poca cosa. Scorriamo le dita tra un profilo e l'altro, e valutiamo in pochi nanosecondi l'identità di chi vi è iscritto. Il newsfeed delle dating app è costituito non da contenuti ma da profili, persone ridotte alla bidimensionalità di una figurina. Ma forse un modo per risolvere la questione c'è.

A volte mi domando: cosa farei se, in tanto swippare selvaggio, tra fanti di cuore, re di denari e due di picche, per caso incappassi su Tinder in Giacomo, Napoli, 38 anni, una foto una po’ sbiadita che lascia intravedere due occhi azzurri, tenui e malinconici, il naso prominente, la pelle diafana di chi non è stato troppo al sole da bimbo, l’aspetto delicato. Come bio, poche parole. “E il naufragar m’è dolce in questo mare” oppure “Magnanimo animale non credo io già, ma stolto...” oppure ancora “A che tante facelle? Che fa l’aria infinita? E quel profondo infinito seren? Che vuol dire questa solitudine immensa? Ed io che sono?“.

Ecco, lo saprei riconoscere? Nascosto nel mazzo, tra le carte mescolate ad arte da un algoritmo che risponde a regole ignote, Giacomo emergerebbe tra i tanti profili? Ammesso, e non concesso, che decidesse di rendersi disponibile su cotanta piattaforma, ma questo è un altro discorso. Allenata alla superficialità di giudizio, alla valutazione immediata, subitanea, al predominio dell’immagine, saprei riconoscere la gentilezza, la sensibilità, il genio? Saprei intravedere la profondità, là dove il canale digitale punta sulla bidimensionalità?

L’identità delle persone iscritte su una dating app, identità ricostruita, rappresentata, è sempre poca cosa, troppa poca cosa. Scorriamo le dita tra una carta e l’altra, tra un profilo e l’altro, e valutiamo in pochi nanosecondi l’identità di chi vi è iscritto.

Mi spaventa il solo pensare di rispondere: temo di no. Il genio, la sensibilità, la grandezza faticherebbero a espandersi tra le due dimensioni, larghezza e altezza, le uniche consentite all’interno di una dating app. Forse anche Giacomo, privo di tridimensionalità, figurerebbe niente più che altre carte prima e dopo di lui, il fante di cuori e la donna di fiori. E mi precluderei l’opportunità di conoscerlo. Ovunque ci potrebbe portare questa conoscenza.

L’identità delle persone iscritte su una dating app, identità ricostruita, rappresentata, è sempre poca cosa, troppa poca cosa. Scorriamo le dita tra una carta e l’altra, tra un profilo e l’altro, e valutiamo in pochi nanosecondi l’identità di chi vi è iscritto. Il newsfeed delle dating app è costituito non da contenuti ma da profili, persone ridotte alla bidimensionalità di una figurina. “Il contenuto nelle dating app è formato dall’identità delle persone che sono iscritte […] L’identità qui può essere vista come una forma di vetrina che altri utenti osserveranno brevemente, per poi approfondire il discorso identitario in una situazione offline“. Così scrive la ricercatrice Laura Tedeschi in Media digitali e applicazioni di incontro.

Uno spazio identitario minimale, davvero, non in grado di dare dignità e sfogo a tutta la complessità, profondità, ricchezza che ogni essere umano porta con sé. Una vetrina bidimensionale che gli altri utenti guardano, cercando un’ispirazione fugace, che possa spingerli a fare swipe right, invece che left.

Tre ordini di riflessioni. La prima è sul tipo di identità che viene costruita su un’app per il dating.

L’utilizzo delle tecnologie digitali non crea un’identità a parte, ma abilita semplicemente nuove forme di costruzione del sé“. Questo scrive Tedeschi. Gli utenti iscritti a un’app di dating costruiscono il proprio profilo da una parte con l’obiettivo di poter essere desiderabili, dall’altra, per lo meno in via teorica, con l’intento di creare un’identità non totalmente scollegata da quella reale, cosi che, in caso di passaggio in real life, ci si renda comunque credibili e riconoscibili. Sono due spinte non sempre facili da conciliare. Luciano Floridi ha coniato l’espressione onlife per indicare proprio questo continuum tra mondo virtuale e mondo reale, l’ibridazione tra online e offline.

Una seconda riflessione è sul perché il meccanismo del dating online sia costruito per prediligere la quantità alla qualità. Perché induca a prendere decisioni rapide e irrevocabili sul profilo identitario di una persona. Il meccanismo su cui si basa il dating online è trattenere e intrattenere gli iscritti, offrendo persone sempre diverse da valutare, stimolando la curiosità di capire chi ci sarà sulla prossima carta. La ricerca della gratificazione immediata di un match, quella che provoca una scarica di dopamina, porta ad allenare i pollici nell’esercizio dello swiping. Perché fermarsi? Meglio farsi trascinare dal desiderio di vedere chi ci sarà in un poi infinito, andare alla ricerca del prossimo match, di un nuovo contatto, di nuove possibilità di incontro.

Se ci fosse spazio per un diario, per un resoconto di pensieri, riflessioni, accadimenti tutto il processo decisionale, lo swiping, sarebbe inevitabilmente rallentato, il divertimento compromesso. E invece no, vai con lo swing.

Non è una novità, lo diceva Zygmunt Bauman, già oltre 20 anni fa, in Amore liquido: “In uno scenario liquido-moderno le possibilità romantiche si susseguano a ritmo crescente e in quantità sempre copiosa, facendo a gara nel superarsi a vicenda e nel lanciare promesse di essere più soddisfacenti e appaganti“. Questo meccanismo è amplificato dalla tecnologia del dating online. 

Solo in superficie possiamo pensare che il dating online sia un’occasione concreta per entrare in contatto. Lo sarebbe, in via teorica. Nella prassi le dating app ci coinvolgono in un gioco solitario fatto con le identità di altre persone esposte in vetrina. Ci muoviamo in un contesto in cui la quantità, la possibilità di fare swipe infiniti, di mantenersi in un contesto di gioco solipsistico è da prediligere alla qualità, alla vera socialità che nasce dal fermarsi, focalizzare l’attenzione sulla presenza di un’altra persona.

Il successo si misura sulla velocità frammentata con cui si valutano i profili, sull’impulsività nel prendere decisioni, sull’accumularsi di match destinati a fare la polvere, sul cercare novità (un nuovo profilo, un nuovo match, un nuovo contatto) in maniera spasmodica. 

C’è un modo per uscire dalla vetrina, pur restando iscritti su un servizio di dating online? Possibile sfuggire alla dipendenza da swipe? Un’utopia utilizzare i servizi di dating online come amplificatori delle relazioni sociali, senza farsi fagocitare dai meccanismi lesivi che ingabbiano, ancorando alla superficie?

Profilazione, vetrinizzazione, ma anche oggettificazione. Terzo ordine di considerazioni. Le donne sono, ahimè, da secoli portate a considerare sé stesse come oggetto dello sguardo maschile, corpo sul quale l’uomo può posare lo sguardo e sentirsi abilitato, quasi incentivato, nell’esprimere un giudizio, per lo più rapido e insindacabile. Ecco, il processo delle dating app porta a un’uniformazione, a un’uguaglianza, che però non è una liberazione. Non un “liberi tutti”, ma un “prigionieri tutti”. I profili sono vetrine di identità ridotte ai minimi termini, asciugate e prosciugate per trovare spazio nell’altezza e larghezza prefissate, nel numero di caratteri consentito dalla bio. Profili esposti allo sguardo, alla valutazione, al giudizio rapido, insindacabile, espresso da un banale movimento di pollice, indipendentemente dal genere di appartenenza. 

C’è un modo per uscire dalla vetrina, pur restando iscritti su un servizio di dating online? Possibile sfuggire alla dipendenza da swipe? Un’utopia utilizzare i servizi di dating online come amplificatori delle relazioni sociali, senza farsi fagocitare dai meccanismi lesivi che ingabbiano, ancorando alla superficie?

No, dalla vetrina non si può sfuggire, ma il proprio spazio bidimensionale può essere arricchito il meglio possibile per provare a richiamare un’idea di tridimensionalità. Si può decidere di costruire un profilo originale, perché personale, scegliendo con cura immagini e parole. Si può cercare di stare nel momento, di rendersi consapevoli che quando facciamo swipe non stiamo scartando un mazzo di carte, ma l’identità delle persone.

Nella corrente che ci trascina di match in match possiamo decidere di essere slow. Fermarsi, aspettare, soppesare, riflettere, aprire spiragli. Darsi tempo, per leggere e guardare con un po’ più di attenzione le identità delle altre persone iscritte. Nel dialogo con un’altra persona, non ritrarsi al primo elemento non in linea con le proprie credenze o aspettative, andare al di là dei convenevoli (come stai? Che fai? Che farai?), chiedersi ogni secondo e poi ogni minuto che mondo si può scoprire, cosa ci può dire e insegnare la persona con cui veniamo in contatto. Chiedere a Giacomo, Napoli, 38 anni, qual è il mare in cui vorrebbe naufragare, se preferisce navigare in mari calmi o tempestosi. Per quali tratte il mare lo ha portato a Napoli. O scoprire, un passo per volta, chi pensa sia l'”animale” poco saggio, un poco sciocco.

Elisabetta Molteni, giornalista, social media manager.
Scrive di comunicazione e del modo in cui la tecnologia impatta sulla vita e le relazioni tra le persone.
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