L’esploratrice

Agata fa le pulizie da venti anni. Tutti i giorni. 
– Che te stai a lamentà hai la tredicesima, la malattia, le ferie pagate, mica c’hai uno di quei contratti del cavolo co co co, co co pro, ci ci e pu pu. Dovresti ringraziare – la incalza la sua coinquilina Jessica masticando una big babol sul divano.
– Dovrei? – risponde scrutandosi allo specchio del bagno.
Una nuova ruga le era spuntata intorno all’occhio destro.
– Dovrei? – sussurra questa volta a se stessa. 
Agata aveva sempre voluto viaggiare e invece neanche a Rocca Priora era riuscita ad andare. Venti anni di onorata carriera, sei giorni su sette, mai un ritardo, mai un’assenza. Quando da piccola le chiedevano cosa volesse fare, lei rispondeva fiera con le mani sui fianchi: l’esploratrice.
– Tu si tutta scema! – le diceva la nonna – L’esploratrice tu nu la putissi fa.
E la rincorreva con la scopa per la casa.
Agata ogni giorno alle sette si prepara per uscire. Mezz’ora di 409 e arriva alla biblioteca comunale Goffredo Mameli del Pigneto. Tutti i giorni la stessa cosa. Da venti anni. Il suo compito è molto semplice: lavare i pavimenti prima che gli utenti arrivino, spolverare libri e ripiani, lustrare i servizi igienici e assicurarsi che tutto sia in ordine.
– Un lavoro semplice e che te permette de campà – le diceva Jessica. Eppure non ce la faceva più, sentiva la stanchezza dei suoi 40 anni depositarsi ogni giorno intorno agli angoli della bocca e la pancia contorcersi per i toast ingoiati di fretta, le sigarette e i desideri infranti. Nell’ultimo periodo aveva una gastrite lancinante che non la lasciava dormire la notte, i capelli unti e la sensazione di avere sbagliato tutto nella vita. 
– Basta – dice a Jessica un giorno tornando a casa – ho preso una decisione. Domani mi licenzio, lo dirò a Marcella in pausa pranzo. 
– Ma che ti ha dato di volta il cervello – Jessica la guarda inorridita, fumando al tavolo della cucina. Le unghie rosse lunghe e le gambe accavallate su una minigonna fucsia. 
– È tanto tempo che voglio viaggiare – sorride carezzandosi la ruga.
– Agata viaggiare? Ma mica c’hai vent’anni?
– Embè io venti anni non ce li ho avuti mai. I gemelli so grandi, nonna è morta. Voglio fare qualcosa per me. 

Agata ha paura ma è pronta per il grande giorno. Arriva in biblioteca, le chiavi non entrano bene nella toppa, sarà che le mani stamattina le tremano più del solito. Mette una canzone e inizia il suo giro di perlustrazione, mentre ripensa alle parole da dire a Marcella. Il tam tam del mocho sul pavimento risponde al suo battito cardiaco. Poi mentre spolvera un ripiano della sezione narrativa, inavvertitamente, un libro le cade su un piede aprendosi.
Lo raccoglie e l’occhio le si posa su un paragrafo. Le avventure di Gulliver nel paese dei Lillipuziani.
Si siede e inizia a leggere, finché il rumore dei passi della bibliotecaria non la ridestano. Cavolo non aveva finito di pulire.
Quel giorno non solo non si era licenziata ma era stata anche rimproverata da Marcella. Per la prima volta dopo venti anni di onorata carriera, Marcella l’aveva trattata come se fosse una sconosciuta, una poco di buono assunta il giorno prima.  
“Non importa. Mi licenzierò domani” pensa “giusto il tempo di finire il libro”. 
Passano i giorni e Agata non riesce a licenziarsi, c’è sempre un nuovo libro da leggere. 
– Dopo questo mi licenzio – dice. 

Agata non era mai stata una grande lettrice, due/tre libri assegnati dalla professoressa di lettere, una terza media strappata per buona condotta e quella casa scantinato da cui scappare il prima possibile. Sua nonna che sciabattava in corridoio e quella scopa sempre pronta all’uso. Aveva iniziato subito a lavorare, poi erano arrivati i gemelli a 18 anni da uno spagnolo che aveva conosciuto in un centro sociale e che alla parola “incinta” aveva ripreso l’aereo per Siviglia, lasciandola lì, senza mai più farsi vedere.
Era seguita la convivenza con la sua amica Jessica, per risparmiare e avere una mano con i bambini e poi il lavoro in biblioteca.
Agata è felice di andare al lavoro ora, ha i capelli puliti e le guance rosse come se una specie di febbre l’avesse contagiata. Arriva in biblioteca prima del solito, sente il clak della chiave che gira, nel silenzio dell’aula studio. I libri divisi per genere nei ripiani, che la guardano schierati, i computer che ancora dormicchiano e lei padrona fino alle nove dei corridoi. 
Calcola che se impiega 15 minuti per la sala e il bagno, nei 45 restanti può leggere e così di 45 in 45 in breve ha già finito la sezione narrativa.
– Ma lo sapevi che in Amazzonia ci sono dei popoli non contattati?
– Non contattati? Non contattati? Agata secondo me te stai a rincoglionì. Se continui così vedi che prima o poi te cacciano – rimbrotta Jessica, limandosi le unghie.
La sua era stata una vita risicata ai bordi della gioia, mai troppo vicina, una vita tiepida senza cambi e colpi di mano. Invece grazie a quei libri lei viveva e viaggiava, come non aveva mai fatto. Quelle storie le davano la forza per andare aventi, Jessica non poteva capirlo.   
Più Agata leggeva e più sul lavoro diventata sbadata, un vero disastro: gli utenti si lamentavano dei bagni erano sporchi, mancava la carta igienica e negli ultimi tempi le impiegate la trovavano a leggere sul divanetto. 

Marcella non ne può più e all’ennesimo richiamo minaccia di licenziarla. 
Agata si sente morire: non poteva farlo, doveva ancora finire la sezione viaggi. Ritorna nei ranghi. La mattina guarda sconsolata i libri, gli passa vicino ma non osa toccarli. 
Un giorno però rivede i viaggi di Gulliver e non resiste.
“Rileggerò solo un capitolo” si dice, ma poi continua. Le impiegate la trovano che ride e corrono a chiamare Marcella. 
Agata è senza parole. Adesso è finita davvero. Una lacrima  le appanna la cornea. 
Un piccolo cespuglio biondo le si avvicina e chiede:
– Di che parla questo libro?
Con la fiamma negli occhi Agata inizia a raccontare dei Lillipuziani e sale sulla poltrona per mimarli. 
Marcella arriva rossa di rabbia e trova Agata su un divano con il mocho a mo’ di spada circondata da una fitta cerchia di bambini entusiasti che continuano a chiedere: “poi che succede?”
Rimane a guardare adirata ma non può trattenere un sorriso mentre Agata interpreta Gulliver che parla con il mago dei fantasmi storici, e le lacrime, verso la fine quando deve partire.
– Agata vieni un secondo nel mio ufficio – le dice.
Agata a testa bassa chiude la porta.
– Sei licenziata.
Non osa obiettare, questa volta l’ha fatta davvero grossa, non ha scuse.
Sta per uscire strascicando i piedi sui resti dei suoi ultimi venti anni sgretolati, quando da dietro la scrivania sente:
– Ti interesserebbe…?

Un mese dopo Agata è seduta sul tappeto del reparto storie di viaggi, circondata da bambini che la ascoltano
estasiati.
Da grande vorrei fare l’esploratrice, grida una piccola lettrice nel cerchio. 
– L’esploratrice nun la potissi fa.
Dice Agata, brandendo il mocho.
E i bambini ridono, ridono forte.  


Questo racconto è stato scritto dall’autore durante il corso di Scrittura Creativa de Il Melograno, condotto da Marco Caponera.