Al mio amico Giovanni, affinché non si senta mai solo.
Come ogni mattina, l’odore di basilico inondava tutta via Nassa. Nonostante fosse maggio, il sole batteva come ad agosto, il lago era di un blu reale e il vento del giorno prima aveva cacciato tutte le nuvole. Quell’anno, lungo il lago, erano stati piantati degli anemoni coronaria che creavano un tappeto blu e rosa. Era stata Solange, la proprietaria del bar Debarcadero, a chiedere al Comune di far piantare proprio quei fiori.
– Non sentirò ragioni! – Aveva detto.
– Voglio vederli quando vado a lavoro, non per la loro bellezza ma per il loro intramontabile significato!
La giovane ragazza era solita fare richieste bizzarre, tuttavia era difficile dirle di no; quale fosse il motivo, però, per il quale le stesse tanto a cuore un significato così malinconico, come il rimpianto di aver perso e il desiderio di ritrovare, era un mistero.
La bellezza di Solange era un dato oggettivo, non tanto per l’aspetto fisico quanto per la sua personalità. Il sorriso era l’unico gioiello che indossava: sorrideva se era di buon umore, se doveva rimproverare un suo dipendente o se prendeva le ordinazioni, portando una ciocca di capelli color cenere dietro l’orecchio. Sorridendo, mostrava due fossette a sinistra della bocca e i suoi occhi grigi diventavano più piccoli e luminosi.
Come ogni mattina, Solange stava arrivando dalla via principale con in braccio una pianta di basilico, tenendola come fosse un bambino.
Il suo cocktail era leggendario, tanto leggero e dissetante da poter essere bevuto a qualsiasi ora del giorno; era color vinaccia, probabilmente dovuto ai mirtilli, anche se di mirtillo non sapeva affatto, e aveva un gusto nostalgico e lontano. Molti clienti del bar ipotizzavano che il basilico fosse dentro il cocktail, sentendone vagamente l’odore, ma pur setacciandolo da cima a fondo, di quella pianta aromatica non vi era traccia.
– Uno speciale della casa!
Ordinò uno dei clienti abituali quel pomeriggio.
– Arriva subito, signore – rispose Solange, sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori.
– Quante volte ti ho detto di chiamarmi Benjamin?
Benjamin, un uomo particolare: da giovane era stato uno dei più rinomati critici culinari del cantone, le sue severe recensioni avevano sempre un tocco di ironia, impossibile non adorarlo, dato il suo buon carattere.
– Ecco a lei, Benjamin – disse Solange, tornando con un bicchiere da cocktail.
– Non c’è niente di più grottesco che chiamare qualcuno per nome e al contempo dargli del lei.
Benjamin si pettinò i baffi con due dita
-Dovrebbe essere illegale.
Solange non rispose, si limitò a sorridere e allontanarsi.
– È sporco.
– Come, prego? – chiese Solange voltandosi.
– Il bicchiere, l’hai sporcato – rispose fermamente Benjamin, fissando il cocktail di fronte a lui.
– Mi spiace molto, lo cambio immediatamente.
Solange afferrò il bicchiere, ma sentì un improvviso calore sul dorso della mano, poi lui spiegò:
– Hai sporcato il bordo del bicchiere con del basilico, quindi non se ne sente il gusto ma il ricordo, proprio qui.
Si toccò il ponte del naso con la mano libera.
– Proprio qui.
Rimasero in silenzio in quella posizione, Solange era immobile e, per la prima volta dopo tempo, non sorrideva, aveva gli occhi sgranati e la sua ciocca di capelli non era dietro l’orecchio ma le copriva la guancia in maniera goffa. Si poteva sentire il rumore del vento debolissimo.
– Solange!
Il silenzio fu interrotto dall’unico dipendente incaricato quel pomeriggio.
– Potresti venire un attimo? Devo cambiare il fusto della gazzosa, ma si è bloccata la valvola.
– Arrivo – balbettò Solange tirando via la mano dalla presa di Benjamin che, sorseggiando il cocktail, sorrise e rimase in un silenzio contemplativo.
Venti minuti dopo, Benjamin finì di bere e, non vedendo tornare Solange, si alzò, prese il giubbotto, il bicchiere vuoto ed entrò nel bar.
Solange era su una scala usurata accanto alla finestra e stava potando una pianta rampicante, Benjamin le si avvicinò lentamente e si appoggiò al termosifone accanto.
– Non sei cambiata affatto – esordì l’uomo guardando a terra.
– Non sei mai stata in grado di difenderti, quando facevi qualcosa che non andava e venivi scoperta rimanevi immobile, sgranavi gli occhi e poi scappavi a nasconderti.
– Non mi sono nascosta – rispose fredda lei, tagliando un gambo alla pianta.
– Invece sì e ti dirò di più: stai facendo quella cosa col piede, quando t’innervosisci ti cede la pianta del destro, ti metti sulla punta finché non ti calmi. Ti consiglio di scendere da quella scala che, a proposito, dovresti cambiare.
Benjamin se la rideva sotto i baffi, senza distogliere lo sguardo da terra.
– Ho quasi finito – rispose Solange – Non mi dica quello che devo fare, per favore, non sono una bambina.
E sorrise.
– Come siamo professionali.
Benjamin alzò lo sguardo e sollevò il bicchiere.
– Un altro, voglio vedere come lo fai.
Solange scese dalla scala e poggiò le forbici in un cesto lì vicino.
– Dunque – sussurrò dirigendosi verso il bancone.
– Aveva ragione sul basilico, ma non è l’unico modo in cui lo uso, guardi.
Fece cenno a Benjamin di seguirla, aprì il frigorifero e gli mostrò dei bicchieri con dentro due foglie di basilico, prendendone uno.
– Queste foglie – continuò – adesso le tolgo e le userò dopo per sporcare il bordo.
Prese dello zucchero di canna e iniziò a pestarlo in una ciotola.
– Come il Mojito?
Benjamin la osservava compiaciuto.
– Come il Mojito, poi… – afferrò due bottiglie – Gin, Ginger beer nel mixer, mirtilli surgelati e ghiaccio.
-Come mai mirtilli?
– Mi ha insegnato lei che il basilico sta così bene con la frutta: banane, fragole e anche mirtilli.
– Era il tuo gelato preferito.
– Era quello della mamma.
Il sorriso di Solange svanì.
– Poi versi tutto nel bicchiere? – chiese subito Benjamin.
– Sì, altro ghiaccio, spicchio di lime e adesso si sporca il bicchiere.
Appoggiò una foglia di basilico sul bordo e iniziò a strisciarla su di esso con forza, poi ripeté il gesto con altre tre foglie, due delle quali prese dalla pianta sopra il bancone.
– L’odore del lime! – esclamò Benjamin mettendosi una mano sul naso – Da piccola lo detestavi.
– Cosa non detestavo da piccola?
Solange rise, poggiando il cocktail sul bancone.
– Come darti torto, eri una bambina difficile.
Benjamin afferrò il bicchiere.
– Farti sorridere era un’impresa ardua, invece ora…
– Lo sai che è una forma di difesa – lo interruppe Solange, lavandosi le mani.
– Mi hai dato del tu, finalmente.
Benjamin guardò Solange dritto negli occhi e rimasero in silenzio per un po’, finché lui non lo interruppe frugando nella tasca della giacca.
– Ora devo andare, è stato bello parlare con te.
– Aspetta, offro io.
Solange sorrise, ma le sue fossette erano sparite e i suoi occhi erano spenti.
– Grazie.
Benjamin si voltò, varcò la porta del bar e se ne andò.
– Ciao papà.
Solange rimase immobile col canovaccio tra le mani, guardando l’uomo abbandonare via Nassa.
– Solange.
Il cameriere si avvicinò e afferrò il bicchiere pieno.
– Stai bene?
– Sì, perché?
La ragazza si voltò in fretta verso di lui, accennando un falso sorriso.
– Perché è da tutto il pomeriggio che ti vedo parlare da sola.
Rispose il cameriere, portando via il cocktail e uscendo dal bar.
I raggi del sole al tramonto dipingevano la stanza di rosa, vi era un rumore di voci indistinte provenire da via Nassa, mai stata così affollata.
Questo racconto è stato scritto dall’autore durante il corso di Scrittura Creativa de Il Melograno, condotto da Marco Caponera