Il ragazzo intrappolato nel suo tempo

INCIPIT

Tokimune si trova in mezzo alla solita aria viziata, quasi incollato al suo letto. Quel ticchettio dell’orologio, però, sembra dargli il tormento. Qualcosa si frappone tra lui e il tempo. 
Sono le sei e la stanza è minuscola. Tuttavia, le pareti celesti, benché sporche, ne alleviano la sensazione claustrofobica. La piccola finestra posta a nord-ovest è chiusa, ma la tenda che la copre è cosparsa di buchi che lasciano entrare sprazzi di luce. Quest’ultima si deposita sulla parete dirimpettaia, mettendo in risalto oggetti a forma di teschio posti sopra una mensola, che rendono l’atmosfera lugubre. Il soffitto è ricco di finte stelle al neon che addolciscono il colore tetro del piumone, posto alla rinfusa sul letto. Sulla testiera è poggiata una chioma di capelli unti, le cui doppie punte si fanno strada fin sotto le spalle e terminano in prossimità delle braccia incrociate. Il corpo gracilino, non proprio disteso, è racchiuso in un pigiama di pile color seppia che avanza fino ai piedi sepolti sotto due calzini. Uno di essi è bucato sull’estremità dell’alluce e lascia la possibilità all’unghia nera di palesarsi in tutta la sua lunghezza. 
Tokimune ha smesso di fissarla da quando le dita delle sue mani hanno iniziato a picchiettare contro il letto, quasi seguendo lo stesso ritmo delle lancette dell’orologio affisso davanti a sé, sulla parete riempita perlopiù da uno specchio. Non batte ciglio ora che il suo sguardo e la sua mente sono diretti verso lo scorrere del tempo. I suoi occhi color nocciola e le sopracciglia arricciate raccontano una qualche inquietudine. E mentre una goccia di sudore scende lenta dal collo e si fonde con l’unto dei capelli, sono le sette e gli sprazzi di luce cominciano a diventare fiochi. La costellazione pochi metri in alto si fa più intensa, evidenziando il sudiciume che avvolge la testa. Quest’ultima, ovale e scavata, è ancora rivolta lì, verso quell’orologio. Le labbra, sottili e screpolate, fanno da cornice a una bocca asciutta, mentre il naso adunco rilascia profondi respiri, percepibili dall’eccessivo gonfiarsi del petto. Lo sguardo è sempre più serrato e preoccupato. 
Poi una vocina interrompe lo pseudo-stato di trance di Tokimune. Ancora! La vuoi smettere? Non sarà forse dalle due che ti comporti così?
“Ccche c’è?”
C’è che stai di nuovo con gli occhi fissi su quel maledetto orologio! Non è neanche poi tanto piacevole da ammirare, con quel vetro mezzo spaccato sul mezzogiorno e quella cornice che gli ruota intorno fatta di plastica male assemblata. 
“Oh, lo ssai bene perché continuo a ffarlo. In ffondo neanche tu ci vvuoi andare, lo fai per ttestare il terreno, per capire che cosa si pprova!.”
E ti pare poco? Invece di ringraziarmi, di essere grato per questo.
“Oh, bbeh, ggrazie tante.”
Nel mezzo dello scambio di battute, il malanimo di Tokimune lo spinge a mettere a tacere ogni altra parola. Lascia scivolare il corpo lungo il letto, si rigira su sé stesso e si blocca con uno scatto di lato, portando le ginocchia al petto e guardando i buchi della tenda farsi a poco a poco più bui. Sono le otto. Gli oggetti a forma di teschio manifestano tutto il loro aspetto macabro, mentre la luce va a dormire. Mentre calano le palpebre degli occhi, la vocina riapre la bocca. 
Sarò greve e ostinato, ma la verità è che tengo alla tua serenità. 
“Oh, non ne sarei ccosì sicuro.” 
Suvvia, non essere sciocco! Te lo dico perché è giusto sforzarsi ogni tanto, stringere i denti e provare a superare i propri limiti.
“A me non ssembra esattamente una ppasseggiata questa roba qui.”
Certo che no, piccolo ragazzo, ma dimmi, cosa lo è? La vita ci riserva infinite sorprese, belle o brutte che siano, ma è importante saperle affrontare in entrambi i casi, è fondamentale riuscire a dire a sé stessi ‘sono grande abbastanza da potercela fare’. Non puoi lasciare che le tue emozioni ti vincano, non sempre. A volte è bello lasciarsi trasportare da esse, altre volte è necessario controllarle. Quindi smettila di autoflagellarti.
Ma anche queste parole risuonano indifferenti per Tokimune, nuovamente concentrato sul rumore delle lancette che scorrono, tamburellandogli la mente come fossero intrappolate in essa. Il viso è pallido, la testa scoppia e il cuore prende a battere forte. Le unghie delle mani sono strette tra i denti e strappate con foga una ad una. Il pile è zuppo a causa del sudore che continua a scendere lungo tutto il corpo. I capelli sempre più sporchi e la bocca sempre più asciutta. Il ragazzo si solleva appena con la schiena, ora di nuovo appiccicata alla testiera. Dopo aver strappato via l’ultima unghia, con una mano si allunga verso un comodino e afferra una bottiglia d’acqua che inizia a sorseggiare. Nel frattempo getta di nuovo lo sguardo sull’orologio che segna le nove. Un brivido lo attraversa, beve ancora un sorso d’acqua prima di riporre la bottiglia al suo posto. In preda al panico, con le mani afferra il piumone, chiude gli occhi quasi da farli scoppiare e cerca di scacciare dalla mente quel fastidioso tic-tac. 
Poi porta i pugni chiusi alle tempie e in un impeto di rabbia grida: – Basta!
Si lascia improvvisamente cullare dal silenzio, la testa smette di scoppiare, il corpo di sudare. 
La vocina, sussurrando appena per non invadere la dolce atmosfera, dice: Alzati e fatti coraggio, spogliati, indossa qualcosa, qualsiasi cosa e varca quella porta.
Tokimune apre gli occhi e li punta sulla chiave inserita nella serratura della porta. Poi rapido si alza in piedi, si sfila il pigiama e getta a terra mutande e calzini. Passa nudo davanti allo specchio, ma lo ignora. Così come a ignorarlo è lo specchio, troppo sporco per rifletterlo. Si precipita verso un armadio, indossa vestiti e scarpe scelti senza troppo sforzo e butta uno sguardo sull’orologio che segna le dieci. Cerca di sopprimere l’ansia che lo assale appena pensa al tempo. Così, dopo aver afferrato un pacco regalo da sotto il letto, si avvicina alla porta, gira la chiave, spegne le stelle sul soffitto ed esce dalla stanza, ora vuota, buia, rimasta con il solo rumore del ticchettio. 

La porta si riapre. Capelli arruffati, camicia a tratti sbottonata, pantaloni appiccicati alla pelle e sguardo perso. Tokimune ciondola da una parte all’altra prima di sedersi ai piedi del letto. Dalla tasca estrae un biglietto con sopra scritti una serie di numeri di telefono. Li rilegge uno ad uno, confuso e sorpreso, poi scruta davanti a sé. Socchiude gli occhi per mettere a fuoco il suo riflesso, ma vede appena un ciuffo di capelli e un colletto mal ridotto. Sprofonda un pugno dentro una manica della camicia e allunga il braccio. Strofina forte per vedersi bene il viso. Mentre sottili raggi di luce penetrano la stanza, le lancette scorrono verso sud-est ma Tokimune questo non lo sa. 


Questo racconto è stato scritto dall’autore durante il corso di Scrittura Creativa de Il Melograno, condotto da Marco Caponera