Linea rossa

Dovrebbe essere questa, è una linea, è rossa, si trova una volta girato a sinistra dal primo lampione dell’ospedale più vicino, quindi sì, se la signora Paolina ci ha visto bene dovrebbe essere questa. Speriamo non sia troppo tardi, o che non abbia camminato troppo. È sempre stato un tipo particolare, ma addirittura vedere una linea e decidere di seguirla senza dire niente a nessuno, questo proprio non me lo aspettavo.
Pensare che lo conosco da un bel po’, dai tempi del nostro giovanile duo.
Ci chiamavano “er 21” non ho mai capito il perché, forse era solo il numero dell’autobus più vicino. Oppure perché è l’unico numero in cui il secondo posto viene prima del primo e quindi c’è una sorta di parità tra i due numeri, in qualche modo entrambi sono primi; ma non penso fossero così svegli.
Mi è sempre piaciuto il mio, “secondo Nico”, in effetti mi è rimasta la tendenza a dire la mia opinione un po’ su tutto. Forse all’epoca un po’ troppo. Poi ovviamente c’era la mia vecchia metà “er primo Augusto”; ripensandoci i loro attimi di genialità ce li hanno avuti.
Meglio iniziare ad incamminarsi. Particolare questo luogo, completamente bianco, quasi asettico se non fosse per questa linea rossa.
Sento subito dei passi, qualcuno sta correndo dietro di me è come se questo ritmo lo conoscessi fin troppo bene. 
– Papà! 
È la mia piccola Sofia! Si sta affannando con il suo passettino zoppicante, questa volta peggiorato da una bambola che stringe al petto.
– Ciao, tesoro mio – la alzo da terra e la stringo più forte che posso. Quanto mi è mancata
– Papà, ti ho portato questo bambolotto. Lo so che è rotto ma a me mi piace così. Non funziona più tanto bene e lo so che lo vuoi buttare, però io non voglio. Gli voglio troppo bene.
Mi lascia il bambolotto tra le braccia e scappa via. Cerco di fermarla ma ormai si è come dissolta nel nulla.
Strana questa bambola, non piega più nessun arto, provo ad aprirle gli occhi ma sono come appiccicati. Non può più fare niente; sì sarebbe proprio da buttare, ma se la mia Sofia ci tiene così tanto, la porterò con me e…in un attimo mi ritrovo con il viso schiacciato a terra, qualcuno sta mugolando, forse gli sono inciampato sopra.
– E guarda un po’ dove vai – mi intima una figura sdraiata a terra arrotolata in una coperta di pile
– Mi scusi non l’avevo vista, stavo osservando questa bambola e… 
Il signore come preso da una scarica improvvisa, alza la testa e uscendo dal suo bozzolo mi prende la bambola dalle mani.
– Ma non lo vedi che sta morendo, secondo me ha bisogno di essere intubata.
Assomiglia tanto a qualcuno, ha un viso così familiare.
– È solo una bambola, non è mai stata viva – rispondo.
Ma prima che io riesca a finire la frase, quello sta già inserendo un tubicino dentro la bocca della bambola e giù verso il petto. Poi prendendo anche una siringa, la inserisce nel braccio, iniettando qualcosa.
– Trattala bene che è molto importante per noi.
– Per noi chi? – chiedo confuso, ma invece di rispondermi il signore mi rimette la bambola tra le mani, riprende la sua coperta e arrotolandosi dentro scompare nel nulla, come la mia piccola Sofia.
Sì, proprio insolito questo posto.
Forse mi trovo in un sogno.
Bah, meglio continuare a camminare, sto già perdendo troppo tempo e a quest’ora chissà dove si trova Augusto.
Cammino per ciò che mi sembra un’eternità, qui non riesco a misurare bene il tempo finché da lontano scorgo una figura, sembra tanto… sì è lui! 
– Augusto! Sono io, fermati – ma lui niente, continua a correre. Meglio che lo segua. 
– Augusto! – forse non mi sente.
Fortunatamente sono sempre stato il più veloce dei due, mi manca veramente pochissimo per raggiungerlo – Aug…- una fitta tremenda mi attanaglia al petto e le mie gambe iniziano a diventare sempre più deboli.
Poi una scarica.
Un calore incandescente mi entra in corpo ed una pressione fortissima mi fa alzare il cuore ed il petto verso l’alto. E poi di nuovo le mie gambe cedono verso il suolo. Sento nuovamente un calore, ma questa volta più tenue e sulla spalla, meglio che mi riprepari alla scossa.
– Tutto bene? – alzo la testa e vedo un viso che credevo di non poter guardare mai più, Laura. 
– Amore mio, quanto mi sei mancata – mi alzo e la stringo più forte che posso.
– Anche tu, tesoro, ma sono venuta solo a riprendere la bambola.
La sua voce mi ricorda tanto quella di Sofia e anche il suo sguardo, come se coesistessero insieme.
– Non posso dartela, ho promesso alla nostra Sofia di tenerla con me – rispondo.
– Non importa, anche a lei va bene così, la puoi lasciare andare, la terremo con noi.
Mi bacia, riprende il bambolotto e come tutti gli altri svanisce, lasciandomi solo l’impronta del suo sguardo addosso. Riprendo il mio cammino ma dopo poco mi accorgo che qualcosa non va.
Inizio a sentire un fortissimo dolore vicino alla bocca dello stomaco, il mio cuore inizia a battere sempre più forte e così anche il mio respiro che si adatta alla velocità del pulsare del sangue. I miei occhi cominciano ad appannarsi ed inizio a vedere tante lucine muoversi intorno a me. Un rumore stridulo e continuo attacca le mie orecchie, fino a che, luce.
Mi sento molto più pesante, provo ad aprire gli occhi ma sono come incollati, qualcosa come un tubo è dentro di me, passa attraverso la mia bocca fino a giù, ai polmoni. Dove mi trovo? Decido di provare a muovere ogni singolo muscolo del mio corpo partendo dalle dita dei piedi, fino alle gambe, il bacino, la schiena, le spalle e le mani, per provare ad alzarmi, ma niente, non risponde.
Perché non riesco a muovermi?
Tento di parlare per chiedere aiuto, ma la mia bocca è incollata, come gli occhi.
Che cosa è successo? Dove mi trovo? C’è qualcuno?
Aiutatemi, vi prego. Provo di nuovo a parlare ma la mia gola è così secca che il solo provare mi procura un dolore immenso. 
Sento una voce fin troppo familiare, la riconosco subito, è Nico.
Forse mi ha trovato, ma se lui è qui allora come fa a cercarmi seguendo la linea rossa? Dove è la linea rossa? E come mai ricordo ogni singolo dettaglio del suo cammino, forse non era lui a cercarmi. Ma allora chi? E se fosse stato tutto nella mia testa e se nessuno mi stesse cercando. Allora dove mi trovo? 
– Che facciamo? – riconosco anche questa voce, è Sofia, la mia Sofia.
– Non so che dirti Sofia, ormai è sparito da un po’.
Chi? Io? Sparito dove, sono qui, vicino a voi, guardatemi
– Però, Nico, non è detto che non torni.
Ma sono tornato, fatemi alzare, il mio corpo non risponde, svegliatemi.
– L’ho cercato, tutte le notti. L’ho chiamato e non mi ha mai risposto, ma credo stia bene, credo che a lui vada bene così, no?
Cosa? Cosa dovrebbe andarmi bene? Forse sto morendo? Forse non possono sapere.
– Forse sì, ma come si fa ad esserne sicuri?
– Non si può, Sofia, non si può.
– Quindi? Che si fa? Ha scelto te come persona di fiducia.
Ah ok, ora ho capito e va bene così, non ti preoccupare. Fai quel che devi Nico, io starò  bene. Grazie di tutto e addio fratello mio.
– Sì, lo so – sento Nico rispondere


Questo racconto è stato scritto dall’autore durante il corso di Scrittura Creativa de Il Melograno, condotto da Marco Caponera.