L’ing.

Quando si fissa, l’ing. si fissa. E non c’è niente, ma proprio niente, che da quella fissa lo possa distogliere. Il pensiero è martellante, annebbiante, lo prende e non lo molla mai, fino a quando l’obiettivo non è raggiunto.
La vede per la prima volta in quel pub a Monti, quel posto che lui conosce bene, dove si beve e basta. Perché se devi bere una birra, che c’entrano le patatine e le noccioline e le manfrine?
Ma non l’avevo mai vista, come può essere?” pensa. Chiede di lei e gli dicono:
– Viene da Dublino, è un cimelio, un porta sfortuna. Ti ci siedi e muori.
Si, ma dai. Sfortuna, fortuna, mica esistono. Credenze popolari, superflue e dannose. Poi dici perché il mondo funziona così male.
Però quant’è bella. Quanto sembra comoda.
È verde e viola, tutta legno e velluto. E lui la desidera.
La ottiene nel modo più semplice: la compra.
Tanto vale darla a qualcuno, se nessuno ci si vuol sedere, a che serve in un pub una sedia dove non si possano poggiare le chiappe?
La porta a casa e la ammira per ore.
Perde una giornata di lavoro ma non fa niente, vuole solo guardarla e accarezzarla.
Non la userò. Non subito.
L’ing. è cattivo. Sociopatico. Anaffettivo. Non gli frega un cazzo di nessuno.
Questa sedia è maledetta?
Beh, io vi dirò che invece è santa, benedetta e porta solo bene. Voi ci crederete, perché siete una massa informe di sciocchi e vedremo se è vero che ammazza le persone.
La conduce fino a un incrocio sempre trafficato.
– Prego signora, perché aspettare lì in piedi che il semaforo diventi verde? Prego prego, senta che morbidezza, guardi che linea. Viene da lontano questa meraviglia, lei ha l’onore di provarla per prima.
La signora non è proprio convinta, ma si siede, perché è già stanca alle 8 del mattino e non è neanche tanto giovane.
– Lo sa, questa sedia, o meglio questa “quasi poltrona”, è magica. Le porterà fortuna, vedrà. Poi però me lo dovrà far sapere se le succederà qualcosa di bello. Ecco il bigliettino. Non voglio soldi, no, ne ho abbastanza, io sono un ing.
Su ventiquattro persone, due gli sputano addosso, quattro lo mandano a quel paese, sei gli danno una moneta, tre pensano sia una nuova trovata pseudo-religiosa tipo “siediti e vedrai la luce”, ma nove, ben nove lo fanno.
La provano e tutti contenti attraversano la strada con in tasca il bigliettino e tante speranze.
Nei giorni a venire nessuno lo chiama, nessuno lo cerca per ringraziarlo, neanche per lanciargli ingiurie. Pensa: “allora sono morti sul serio.
Ma no, ti pare, è proprio impossibile. Semplicemente le loro vite sono rimaste tali e quali.
Guarda quello stronzo ciarlatano, chi se lo incula.” Avranno solo pensato.

Una mattina, l’ing. va al lavoro e compra il giornale. Distrattamente legge la cronaca. Vede la foto di una signora e quella di un bambino e quella di una coppia di ragazzi. E poi, non più tanto distratto, vede un tizio con gli occhiali, una ragazza bellissima (che infatti aveva desiderato lo richiamasse) poi due vecchietti gobbi e alla fine pure un carabiniere alto e distinto.
Li riconosce tutti, sono quei creduloni col suo bigliettino.
Grave incidente su un tram in centro, muoiono nove persone.
Inizia a ridere. Così forte che alla fine si deve nascondere in un angolo, perché non ce la fa a smettere, si vergogna della gente che lo guarda.
Cazzo, che ho combinato! Dovrei venderla ai terroristi questa sedia.
Va a lavorare e mantiene tutto il giorno quel suo sorriso che in realtà è un ghigno. Ha perso la sua sfida contro le dicerie, perché a quanto pare hanno ragione gli irlandesi: quel bellissimo oggetto, di bellissimo ha solo l’aspetto. Ma l’ing. è cattivo e la sua cattiveria supera anche l’amara sconfitta del suo scetticismo.
Corre a casa e va dalla sua Nora, ché alla sedia ha dato un nome: perché se lo merita, quella maledetta sedia.
Lui vorrebbe restare solo tutta la vita, non vuole legami, e allora preferisce stare con lei e ammirarla soltanto, nella sua macabra bellezza.

È passato un anno. L’ing. è un po’ cambiato.
Chissà come, chissà perché, adesso Nora non gli piace più così tanto. L’ha messa in una zona un po’ nascosta della casa. Non la guarda più ogni giorno, perché pare che l’ingegnere si sia finalmente innamorato e ha altro da ammirare, che una stupida sedia. La sua fidanzata abita lontano, nel fine settimana lo raggiunge a casa perché lui è comunque rimasto un egoista, e poi è pigro.
La mattina del 28 febbraio suonano alla porta mentre sta sistemando la casetta per la sua ragazza, e si chiede chi possa essere e perché lo debbano disturbare, gli faranno perdere tempo.
Chiunque sia, uscirà e lo accopperà.
– Lei è l’ingegner C.?
– Si
– Ci deve seguire, ingegnere. Mi rincresce, Le dobbiamo comunicare un fatto molto spiacevole. La signora G. è stata coinvolta in un incidente molto grave in autostrada. Purtroppo ha perso la vita. Abbiamo trovato nel suo portafogli un suo biglietto da visita. Lei la conosceva bene?
Aveva sbagliato il calcolo. Non erano nove, quelli che si erano seduti su quella cazzo di Nora. Erano dieci. E la decima era lei, quell’altra ragazza sempre carina, ma non bellissima. Simpatica e dolce e che non era morta sul tram. Ecco perché gli era sembrato strano che prima del primo appuntamento lei l’avesse chiamato.
Lui non le aveva dato il suo numero.
Lei ce l’aveva in tasca da un anno. 
L’ing. deglutisce e risponde:
– Sono il suo fidanzato.
Barcolla verso una zona nascosta della casa, si mette le scarpe, urla singhiozzando. Per allacciare le scarpe si siede. Nora sembra divertita.
– Cristo, sono davvero un coglione.


Questo racconto è stato scritto dall’autore durante il corso di Scrittura Creativa de Il Melograno, condotto da Marco Caponera.