Nella carta

Venerdì

La signorina Yuka telefonò più volte ma nessuno rispose. Pensò che il Maestro stesse lavorando al quadro.Quando fu davanti al cottage, tutto era tranquillo. Non trovò nulla di strano in quel silenzio, non captò nessun indizio su quanto fosse accaduto qualche ora prima, nella notte che, portatrice di tanto dolore, aveva infine lasciato il posto ad un nuovo sereno mattino.

Il lunedì precedente

Dopo tanta cura mancava ancora lo stesso pezzo finale. Prese adagio la piccola sagoma bianca e si avvicinò al quadro. Le sue mani sapevano come agire ancor prima di lui. Avevano la stessa esperienza dei suoi occhi e della sua immaginazione, che gli mostravano come sarebbe stato il lavoro finito. Perciò non gli fu difficile trovare la giusta collocazione. Era questa la sua arte.
“Eppure domani dovrò rifarlo…” Scartò il pensiero e telefonò alla signorina Yuka. Si accordarono per quel venerdì. Lei avrebbe ritirato i risultati dei controlli clinici per lui, dopo di che sarebbe passata dal cottage per definire gli ultimi dettagli prima della consegna alla Galleria. Ottimo. 
Ma poi la signorina aveva chiesto se avesse davvero finito il quadro e lui aveva interrotto la telefonata con sgarbo. Se ne dispiacque. Ma come spiegare? Ogni giorno incollava la sagoma di carta che ritraeva la sua amata Hana e immancabilmente la mattina dopo non era più lì! Lo sapeva bene, c’era una scadenza da rispettare e lui aveva sempre rispettato gli impegni, gli appuntamenti. 

Solo una volta ne aveva mancato uno… 

Hana aveva dovuto prendere l’autobus, perché lui era stato così preso dalla sua arte da scordarsi che lei lo stesse aspettando! Improvvisamente ricordò la prima volta che la vide, bellissima, seduta alla fermata, così calma. Se n’era innamorato subito. L’aveva osservata di sottecchi, a debita distanza, finché lei era salita sull’autobus mentre lui era rimasto lì, seduto, chiedendosi se l’indomani l’avrebbe rivista. “Che c’entra con la sparizione della sagoma? Perché non lo ricordo? Saranno le medicine?Le medicine toglievano sì il dolore, ma lo lasciavano come un guscio vuoto. Eppure, sentiva un qualcosa che colmava quel vuoto ogni notte, un qualcosa di inscindibile dalla sua opera. Prese una decisione , non più preoccupato per gli esiti degli esami. 

Quando fu l’ora di andare a dormire non prese le medicine. Controllò il quadro: davanti ai suoi occhi la fermata dell’autobus, identica ai suoi ricordi, prendeva forma nella carta bianca ritagliata, lavorata a rilievo, con strati sovrapposti. Ogni pezzo, ogni forma al proprio posto. La strada, il bambù, il prato dietro la panchina. E lei al centro di tutto, bellissima come quel giorno. Come aveva potuto scordarsi di lei, come aveva potuto lasciarla lì? 
Alla fine il riposo arrivò e portò con sé un sogno di carta bianca.

                                          Martedì

Il mattino dopo si svegliò ricordando il sogno. Colmo di gioia corse a controllare il quadro: la sagoma di Hana non era più al suo posto.
Tra i dischi in vinile scelse “Dream a Little Dream of Me”, di Ella Fitzgerald. La musica dal vecchio giradischi riempì la casa. Con la calma, la pazienza e la rituale precisione che gli appartenevano, iniziò a definire la sagoma mancante. Si prese tutto il tempo necessario e nel tardo pomeriggio posizionò l’ultimo pezzo al centro del quadro. “Ti ritroverò qui domani? Sorrise. Ascoltò ancora Ella Fitzgerald, preparandosi per la notte. Il sonno arrivò prima del solito e portò con sé un nuovo sogno di carta bianca.

                                            Mercoledì

Il mattino dopo ricordava il sogno per intero! Era così felice che gli venne voglia di schizzarne alcune immagini. La sala da ballo al loro primo appuntamento, il viale dove lui le chiese di sposarlo. “Se solo questa … cosa che mi mangia da dentro, sparisse e mi lasciasse il tempo! Che quadri magnifici realizzerei!”
Mutò umore di colpo. Non passò dallo studio, non controllò il quadro, perché tanto già lo sapeva: lei non era più al suo posto. Che senso aveva? Sognarla, rivivere con lei i ricordi più belli. Rivederla come sagoma di carta bianca. Perché la carta? Che diritto aveva lui di ridurre la memoria di lei ad un disegno bidimensionale? Come osava imprigionarla nei suoi quadri! E a che scopo trasformare se stesso nella medesima figura sagomata, di carta anche pure lui. Redenzione? Questo sperava?
Sempre più cupo, oppresso dai sensi di colpa, per la prima volta da settimane quel giorno non ritagliò una nuova sagoma, non completò il quadro e la fermata dell’autobus rimase senza la sua protagonista. Solo quando si mise a letto si rese conto che l’assenza dei farmaci iniziava a farsi sentire. 
Quella notte non sognò.

                                               Giovedì

Appena sveglio andò nello studio. Niente musica. Si mise all’opera e dopo pranzo collocò una nuova sagoma di Hana al solito posto. Il dolore era ormai un gigante, ma non volle occuparsene.
Con la notte arrivò un nuovo sogno di carta. Credeva che il dolore lo avrebbe annientato. Quasi lo sperava. Ma il sogno arrivò e lo trovò più lucido che mai.
Erano insieme sull’autobus che lei aveva preso il giorno in cui lui non era passato a prenderla. Era calma anche adesso che la sua fine stava per ripetersi. Lui invece tremava. L’autobus correva, era in ritardo, e sbandò sul vecchio ponte. Aveva iniziato a piovere forte ma l’autista aveva accelerato perché ancora più in ritardo. Si accorse troppo tardi delle auto ferme in coda. Quando frenò, le gomme slittarono sull’asfalto bagnato e l’autobus scivolò ancora. L’autista cercò di sterzare ma il mezzo sbandò nuovamente, troppo veloce, troppo vicino al guardrail arrugginito e malfermo. L’autobus sfondò la barriera di metallo e iniziò a precipitare nella vallata.
– Haruo, amore mio, guardami!
Ma lui non poteva. Fissava il fiume in fondo alla valle, una riga azzurra che si avvicinava inesorabile.
– Perché questo ricordo? E come posso riviverlo con te, se io non c’ero quel giorno?
– Ma tu eri con me, Haruo.
– No. Io, io ti ho lasciata sola!
– Guardami!

Si girò e vide dietro di lei la carta dispiegarsi e accartocciarsi, cambiare forma e, come nei cartoni animati muti, lampi dei ricordi di una vita, quella di Hana. Sorrisero per un istante i volti dei suoi genitori, si spensero le candeline di una torta di compleanno. Poi i due innamorati, Haruo e Hana che ballavano insieme. L’inaugurazione alla Galleria, Hana orgogliosa che lo guardava con amore. Un nuovo guizzo di carta e una nuova Hana, la sua seconda laurea. Poi toccò a lui, ammirato e innamorato, ed ecco Hana felice e appagata. La carta iniziava a consumarsi, sempre più sottile, quasi trasparente. Come ultimo ricordo, la fermata dell’autobus come la ricordava lei. Quel giorno un ragazzo si era seduto lì accanto, un timido Haruo che lei aveva spiato chiedendosi se l’avrebbe rincontrato l’indomani.
Piangevano insieme adesso.
– Haruo, io sarò sempre qui.
L’autobus aveva terminato la corsa contro quella inesorabile riga azzurra. Haruo non sentiva nessun dolore. Non aveva più nulla.
Hana, te lo prometto, io sarò lì!”

                                               Venerdì

La signorina Yuka, aveva le chiavi, così entrò, chiamò il Maestro, e si diresse verso il suo studio. Ne uscì turbata e in apprensione iniziò a cercarlo. Lo trovò nella sua stanza, il volto sereno, gli occhi chiusi e tra le mani una piccola sagoma bianca. Nello studio predominava la carta. Carta strappata, accartocciata e buttata ovunque, risme di carta a terra, gli attrezzi in disordine, il tavolo coperto di scarti e ritagli di autobus, una torta.
Il quadro, composto, mostrava al centro due figure nuove che, mano nella mano, sedevano insieme alla fermata dell’autobus.


Questo racconto è stato scritto dall’autore durante il corso di Scrittura Creativa de Il Melograno, condotto da Marco Caponera