Tutti pensano che io sia pazzo e se mi vedeste adesso non avreste dubbi nel ribadirlo.
Siedo di fronte la mia scrivania, i ritagli dei giornali sparsi ovunque e il mio fedele telecomando di fianco. Gli occhi gonfi di chi non ha staccato lo sguardo dalla tv e dai giornali, il sudore che accarezza la mia faccia scavata e il sapore amaro di chi non ha ingerito cibo ma le pillole di Theresa. Rovisto disperatamente con le mani tremanti gli appunti e i ritagli alla ricerca delle fottute mentine alla fragola, ma non riesco a trovarle.
Ho impiegato tutto il giorno per individuare la giusta sequenza di numeri, ho letto 7 quotidiani (dalle notizie principali ai trafiletti di cronaca locale), ho ascoltato 10 stazioni radio saltando di frequenza in frequenza in uno zapping frenetico ed non ho staccato gli occhi dalla tv.
L’ultimo numero me lo ha suggerito una televendita di gioielli e adesso la sequenza è completa. Afferro il telecomando e comincio a digitare cerando di tenere le mani ferme: tre, sette, due, due, due, quattro, sei, otto, zero, zero e cinque (maledizione era un fottuto cinque!)
Lo schermo della televisione reagisce prontamente alla pressione dei tasti sul telecomando fino ad atterrare al notiziario della notte. Il conduttore in giacca e cravatta ripiega i fogli con le notizie della sera e chiude il notiziario: “Questa era l’ultima notizia, a voi tutti Buona notte”.
Sprofondo nella poltrona e chiudo gli occhi. Il sudore non smette di colarmi dalla fronte. Riapro gli occhi e avvisto la scatolina delle mentine sotto una pila di riviste. L’ afferro con presa poco decisa e ne spargo la metà sulla scrivania, me ne sparo un paio in bocca.
Mi chiamo Richard Gibly, ho 47 anni ed ho di nuovo salvato il mondo.
Mia sorella Theresa mi vuole bene, lo so. È la terza di quattro fratelli ed io sono quello più piccolo. Dopo la morte dei nostri genitori i nostri fratelli più grandi sono emigrati in Europa dove si sono rifatti una vita e non si sono fatti più vivi. Io sono sempre stato quello strano della famiglia. Mentre tutti mi scansavano, Theresa è l’unica che mi è rimasta accanto: viene ogni giorno a casa per vedere come mi sento, mi prepara da mangiare, mi porta quelle fastidiose pillole accertandosi che le ingerisca tutte e, una volta a settimana, mi accompagna dalla dottoressa Percy. Tutto sommato è grazie mia sorella se sono ancora sono vivo.
Come tutti gli psichiatri, la dottoressa Percy siede sulla sua scrivania in mogano e mi fissa con lo sguardo privo di empatia. Al primo appuntamento mi mostra una cartellina con il mio nome sopra e all’interno una parte dei miei appunti. Mia sorella, che non mi abbandona nemmeno in questo momento, mi siede accanto e abbassa lo sguardo.
Decido di vuotare il sacco: spiego alla dottoressa che la “luce”, per quanto mi riguarda, non è stato l’atto della mia nascita biologica ma quel preciso momento avvenuto molti anni dopo, in cui ho capito il mio scopo in questo mondo. Spiego che la mia missione è quella di decodificare un codice e trasmetterlo al governo e ai servizi segreti tramite il telecomando del televisore di casa affinché questo possa evitare un’imminente invasione aliena. È appurato infatti che il codice in qualche modo possa inibire le comunicazioni aliene e che esso cambi ogni giorno.
Chiudo il monologo evidenziando che io sono l’unica persona sulla faccia della terra che possa decodificare il codice tra migliaia di indizi presenti ovunque.
Theresa mantiene lo sguardo basso ed una lacrima le solca il viso. La dottoressa Percy si limita ad una sola domanda.
– Se è una questione tanto segreta e vitale perché ha deciso di dirlo proprio a noi?
Rispondo senza esitare.
– Perché io sono pazzo e voi non mi crederete mai.
Usciti dallo studio della dottoressa Percy abbiamo una lunga lista di psicofarmaci e nessuna voglia di parlare. Prima di tornare a casa passo al bar sotto casa e compro due scatoline di mentine.
Tornato a casa mi spoglio, faccio una rapida doccia ed immediatamente torno alla scrivania per svolgere il compito che il destino mi ha assegnato. Subito mi accorgo che il telecomando non è al suo posto abituale. Spargo per terra tutti gli appunti, apro tutti i cassetti, urlo, sbatto la testa al muro.
Del telecomando non c’è traccia.
Eppure lo avevo lasciato sulla scrivania, come può essere sparito?
Penso a mia sorella Theresa, è l’unica che ha accesso alla casa. Deve avermelo preso mentre ero distratto. Perché lo ha fatto?
Urlo il suo nome, piango. La mezzanotte è ormai passata ed il codice segreto non è stato inviato.
Chiudo tutte le finestre e mi barrico dentro casa. Decido di farla finita. Non ha più senso la mia esistenza dal momento che presto mi verranno a prendere e tutto il mondo sarà schiavo di una razza aliena. Raccolgo tutte le pillole che trovo sulle scrivania e le ingerisco. Il respiro si fa affannoso, la stanza comincia a girare. Perdo sensibilità alle mani e ai piedi. Nebbia.
Dovrei essere morto. Provo ad aprire gli occhi ma lo sforzo mi provoca una fitta di dolore alla testa. Mi accorgo di avere una maschera applicata al viso e dei tubicini che mi entrano nel naso. Provo leggermente a muovermi ma ogni mio movimento è accompagnato da uno spasmo di dolore.
Sento delle voci in lontananza che man mano si avvicinano. Provo a concentrarmi per capire cosa mi sussurrano. Finalmente riesco ad aprire gli occhi e la nebbia si dirada.
Attorno a me vedo un gruppo di persone la maggior parte delle quali in uniforme militare.
Le persone che mi sono più vicino sono in camice bianco. Una donna sta sentendo il battito del mio polso ed un uomo armeggia sulla macchina a cui è legata la maschera che ho nel viso. Riesco a voltarmi e vedo accanto a me mia sorella Theresa. Ha il mio telecomando in mano e piange.
Metto a fuoco la vista e realizzo di trovarmi in una stanza di circa 20mq. Né una colonna portante né un tramezzo. Solo uno spazio buio dove non batte mai luce. Credo si tratta di uno scantinato o molto più probabilmente un bunker.
Riesco a sussurrare solo due parole
– Sono morto?
L’uomo in divisa più alto in grado si avvicina al mio letto e con tono grave mi risponde.
– Mr Gibly è vivo per miracolo. Ha ingerito una quantità importante di psicofarmaci ma li ha mischiati involontariamente con le mentine. Le mentine le hanno salvato la vita.
Poi si fa da parte e mi offre la vista alla parete che fronteggia il mio letto. Con lo sguardo metto a fuoco un televisore che trasmette un’edizione straordinaria del notiziario.
Sotto su sfondo rosso e caratteri bianchi capeggia la scritta Breaking News.
Lo schermo è diviso in due parti: sulla sinistra ci sono immagini di una città in fiamme, i contorni dei grattacieli deturpati e nel cielo appena visibili, delle macchie sferiche di luce. Sulla destra vedo la mia foto, una di quelle scattate qualche anno fa prima che le cose precipitassero. Nella metà di sinistra capeggia la scritta Invasione aliena a Manhattan, nella metà destra è riportato in caratteri cubitali il mio nome.
Richard Gibly.
Questo racconto è stato scritto dall’autore durante il corso di Scrittura Creativa de Il Melograno, condotto da Marco Caponera.