L’appuntamento di Gilda

L’orologio rosso segna, con le sue lancette bianche a forma di forchetta e coltello, le ore 13:50.
Il Restaurant Self-Service Good Food è pieno di impiegati che consumano un pasto veloce prima di tornare in ufficio. Mentre gli uomini incravattati, intenti a chiacchierare e a mangiare, sono tutti seduti sulle panche di legno, Gilda è l’unica in piedi accanto al bancone su cui la cameriera coreana ha riposto la parmigiana ancora fumante. Avanza lentamente con il suo vassoio verde, vuoto, scrutando attentamente le pietanze esposte, ad una ad una, come un predatore prima dell’attacco. Insalate, paste, polipetti affogati. Tutti cibi a piatto. “Un bel problema” pensa fra sé e sé, guardando la sua camicetta turchese sotto la giacca blu aperta.
In fondo al bancone spunta, da una teglia quadrata in acciaio e in parte nascosta dai cosciotti di pollo, un trancio di pizza ai quattro formaggi: mozzarella, provola, gorgonzola e parmigiano. I cornicioni sono un po’ bruciati. Ma è l’ultimo pezzo, un’occasione imperdibile per saziare la sua fame nervosa.
Si avvicina silenziosa, con passo felpato, verso la preda più facile da catturare.
La coreana rientra in cucina, alle spalle del bancone, da dove si sente il cuoco imprecare -Che cap’e cazz!- per aver bruciato le patate arrosto messaggiando su WhatsApp.
Gli altri clienti, a cui Gilda dà le spalle, sono tutti seduti ai tavoli, intenti nei loro affari. In fondo a destra, nel tavolino più piccolo, una coppia di fidanzati, già al caffè, legge un quotidiano di annunci di case. Al tavolo vicino, sei impiegati, sicuramente di banca, mangiano un’insalata assorti nei loro dialoghi. Passando, con la rapidità di una gazzella, da discorsi su mutui a tasso agevolato, all’organizzazione del prossimo week-end ad Ischia. A sinistra, attorno ad una grande tavolata, un gruppo chiassoso di avvocati sta festeggiando l’assoluzione di un cliente imputato di truffa.
Gilda riesce a sentire distintamente le loro voci dal fondo della sala, ma non può vederli in faccia, perché la visuale è coperta da un grosso pilastro al centro della stanza su cui è appoggiato un vecchio frigo metallizzato con pochi gelati confezionati.
Nessuno intorno sembra badare a lei. È un momento propizio, non può aspettare oltre. Un’ultima occhiata, prima alla cucina, poi a destra e infine, a sinistra.
Gilda, sprezzante del pericolo, decide di sfidarlo. Come un felino appostato che, al momento giusto, balza sulla preda allungando le zanne per sbranarla, Gilda scatta veloce e affonda le unghie, perfettamente smaltate color rosso corallo, nella morbida pasta. Afferra il trancio di pizza, chiudendolo nel sacchetto marrone di carta ecologica che sembra trovarsi lì apposta.
L’adrenalina in circolo accelera la frequenza cardiaca e, in pochi attimi, i vasi sanguigni si dilatano, il sangue pompa forte nelle vene, la pressione arteriosa aumenta.
Intanto, i clienti della tavola calda stanno ancora discutendo delle loro faccende ed in cucina il cuoco continua a sbraitare con la povera coreana, mentre sbuccia patate. Gilda tira un piccolo sospiro di sollievo che rimane strozzato in gola dalla visione di una bambina che sbuca all’improvviso da sotto il bancone. La piccola, di circa cinque anni,  la fissa con i suoi occhietti neri a mandorla. “E questa da dove spunta?” pensa la donna, scuotendo la coda di cavallo in cui sono raccolti i suoi lunghi capelli biondi.
Gilda è abituata a mantenere la calma. Aspetta la mossa della bambina studiando già la controffensiva, quando sente chiamare da fuori
– Chen!
È il proprietario, un uomo sulla cinquantina, che sta sul marciapiedi nel tentativo di attirare nuovi clienti.
La bambina esce sventolando un disegno nella mano, come se avesse un grande aquilone da far volare in cielo.
Gilda riprende fiato e, con grande disinvoltura, si dirige, sempre lentamente, e senza attirare l’attenzione, verso il carrello dei vassoi per riporre il suo vuoto. Liberate le mani, si barcamena per non far cadere il sacchetto che, nel frattempo, è sceso un po’ sotto al seno. Con un leggero movimento del braccio lo riporta nella giusta posizione e, indisturbata, si avvia verso l’uscita.
Cammina lentamente, solo i ladri inesperti scappano. Mentre esce guarda, perfino, negli occhi, ad uno ad uno, quegli avvocati, all’incirca sette, che stanno ancora parlando, ironia della sorte, di diritto penale. Se una cosa l’ha imparata dal suo mestiere, è che non bisogna mai abbassare lo sguardo.
Varcata l’uscita, il proprietario le piomba addosso da dietro, chiamandola a voce alta
– Signòr bellà aro’ jate?
Gilda, pur non masticando ancora bene il napoletano, essendosi trasferita da poco, mantiene il controllo e si gira, costretta ad abbassare un po’ il capo, perché quell’uomo è decisamente più basso di lei. Questo la fa sentire più forte, figuriamoci se dovesse mettere in atto le mosse che ha imparato al corso di autodifesa; lo stenderebbe con un colpo solo per come è esile. Guardandolo fisso con i suoi occhi verdi gli rivolge la parola.
-Mi dica? – dice con tono apparentemente pacato, mentre continua a mantenere fermo il sacchetto, assicurandosi con una rapida sbirciata che non fuoriesca dalla giacca. E l’uomo, capendo che non è del posto continua.
– Non avete trovato niente che vi piace? Ci sono altri piatti del giorno oltre a quelli esposti – agitandole il menù sotto il naso.
– Ho ricevuto una chiamata di lavoro, ho urgenza di rientrare. Ritornerò domani – risponde evasiva.
E l’uomo, soddisfatto a metà
-Allorà v’aspettamm. È vero Chen? – rivolgendosi alla piccola che annuisce da lontano – A’ criatura è figlià ra’ camerièr, è muta ra’ nascit.
Gilda si finge dispiaciuta e, salutando l’uomo e la piccola mostrando il cinque, dà loro le spalle.
Svoltato l’angolo, dà una rapida occhiata all’interno della giacca. Il sacchetto trasuda gocce di olio che hanno macchiato la camicetta turchese nel punto in cui ha schiacciato con maggiore forza. Il distintivo nel taschino interno è anch’esso unto. Sale nell’auto e rovista nella borsa sul sedile accanto a quello del conducente, alla ricerca delle salviette profumate. Prima trova la pashmina a fiori in seta e poi il paio di calze, entrambi con l’antitaccheggio ancora inserito. Continua a frugare e, estratta finalmente una salvietta, strofina con forza fino a lucidare la placca in metallo con la scritta: Polizia di Stato. Mette in moto, si guarda allo specchietto retrovisore ed ecco arrivare un guizzo negli occhi e un sorriso beffardo di chi l’ha ancora fatta franca.

Sul cruscotto, sotto la pizza ormai fredda, spunta il biglietto da visita dello psichiatra Mauro De Marinis, esperto in disturbi compulsivi, su cui è segnato l’appuntamento odierno delle ore 13.50. Lo strappa in mille pezzi che volano dal finestrino.
Con la sirena blu in funzione, zigzagando, si dilegua nel traffico. 


Questo racconto è stato scritto dall’autore durante il corso di Scrittura Creativa de Il Melograno, condotto da Marco Caponera.