– caffè
–biscotti
– pizze surgelate
– pasta
Strappò l’angolo della bolletta scaduta il 7 agosto su cui aveva scritto la lista della spesa e lo mise nella tasca dei bermuda verde scuro. Tirò via la maglietta bianca dalla spalliera della sedia in camera da letto e se la infilò: prima la mano destra, poi la sinistra, poi la testa. La spesa andava fatta per forza, era finita anche la pasta. Erano cinque giorni che non usciva di casa, faceva troppo caldo, ma quando finiva la pasta, voleva dire che la situazione era davvero al limite. Scese le scale a piedi, i passi nelle infradito di plastica nere risuonavano nel silenzio del condominio vuoto, in tutto il palazzo erano rimasti soltanto lui e la signora Calvini, quella che allevava parrocchetti.
Arrivato in garage si diresse verso il posteggio 12B, quello riservato al suo mezzo. Salì sul monopattino elettrico e partì, diretto al centro commerciale.
Ci impiegò 15 minuti per arrivare, posteggiò il monopattino e lo legò al tubolare di metallo della struttura in cui venivano riposti i carrelli per la spesa. Nel parcheggio c’erano poche macchine, le contò: erano sette. Dall’asfalto in lontananza si alzava il calore che vibrava nell’aria del primo pomeriggio, l’odore dei gelsomini nei vasi all’entrata gli dava la nausea. Aveva le ascelle sudate. Si sbrigò a entrare. Sfilò la lista dalla tasca, tirò su un cestello dalla pila all’ingresso dell’ipermercato ed entrò. Nel reparto ortofrutta c’era una signora anziana che metteva una a una le albicocche nel sacchetto di materiale compostabile al costo di un centesimo di euro, come imposto da recenti normative statali.
Lui andò dritto, non aveva mai mangiato ortaggi freschi. Passò direttamente al banco dei surgelati e prese tre pizze capricciose, poi quando ebbe preso tutto quello che era nella lista si diresse verso le casse. Solo la numero 4 era aperta. Mise tutto sul nastro nero, poi imbustò, pagò e uscì, pronto per andare via.
Allora ebbe una strana sensazione. Il sudore sotto le ascelle che si era interrotto grazie all’aria condizionata del supermercato, iniziò di nuovo a colare bagnando la maglietta, il respiro si fece quasi affannoso, gli occhi rivolti verso il pavimento scattavano di qua e di là, un dubbio lo aveva assalito: ce l’avrebbe fatta ad arrivare a casa prima che le pizze si fossero scongelate? Ormai non c’era più nulla da fare, doveva tentare la sorte e sperare di arrivare in tempo. Si avviò con passo svelto e a testa bassa verso il parcheggio per raggiungere il gabbiotto dei carrelli dove aveva lasciato il monopattino, ma il monopattino non c’era più. Guardò a destra, poi a sinistra, non c’era nessuno, le macchine parcheggiate erano diventate cinque, l’asfalto continuava a vibrare e i gelsomini continuavano a emanare quell’odore nauseante.
Il monopattino era stato rubato.
Chiuse un attimo gli occhi per concentrarsi in cerca di una soluzione. Fece un giro su se stesso a 360 gradi, poi scattò tornando di nuovo indietro di 90 gradi, accanto alla rampa del magazzino del centro commerciale aveva visto un muletto giallo. Si mise a correre stringendosi la busta sul fianco con il braccio destro, reggeva le infradito tendendo gli alluci per paura che si sfilassero nella corsa, saltò sul muletto, la chiave era inserita, spinse il pulsante e le forche iniziarono ad alzarsi. Batté con la mano su tutti i pulsanti e il veicolo partì. Era più veloce del monopattino elettrico, per arrivare a casa ci impiegò soltanto 11 minuti e mezzo, le pizze erano salve. Scese la rampa del garage, si diresse verso il posto 12B e lo sorprese il secondo dubbio della giornata: il posteggio sarebbe stato abbastanza grande per parcheggiare un muletto? Arrivato davanti al 12B guardò la sua area riservata, delimitata da due strisce rosa confetto disegnate sul cemento, che il signore del primo piano aveva dipinto con una vernice acquistata dal ferramenta con lo sconto del 90 percento.
Si mosse lentamente in avanti, piano piano.
Tenne sotto controllo entrambe le strisce, andò avanti un centimetro alla volta, guardando a destra e a sinistra, con estrema cautela.
Ci stava.
Questo racconto è stato scritto dall’autore durante il corso di Scrittura Creativa de Il Melograno, condotto da Marco Caponera.