Di male in peggio

“Non li sopporto. Se ne stanno tutto il giorno lì fermi, a fissarmi, come se credessero di essere migliori di me, ma io, anche se solo, valgo molto più di entrambi”, pensai quella mattina, non appena li vidi, già irritato dalla loro arroganza. 

Mi rendevo perfettamente conto di essere ‘quello nuovo’, ma non avevo alcuna intenzione di farmi trattare come una pezza da piedi dai miei due simili più vecchi. Questi, infatti, mi guardavano con aria di sfida. Ma io cosa ne potevo sapere della competizione? Mai avrei pensato di ritrovarmi a gareggiare con altri, anzi pensavo che la mia vita, dall’esatto momento in cui ero stato catapultato dal freddo di una strada al calore di una casa accogliente, sarebbe stata meravigliosa. E invece no, mi ritrovavo a dividere i miei spazi con altri due gatti che avevano cominciato a squadrarmi fin da subito, togliendomi così la possibilità di fare amicizia. Probabilmente si sentivano dei privilegiati, perché ricevevano un trattamento diverso da quello che ricevevo io. Difatti i nostri padroni, ogni sera, dopo essere entrati nella nostra stanza, si sdraiavano in posizione orizzontale al di sopra di una sorta di sedile molto lungo e anche (lo avevo sperimentato personalmente) molto comodo e cominciavano a fissare una strana scatola rettangolare, che mostrava immagini che cambiavano continuamente. Mi chiedevo cosa ci trovassero di divertente, ma la cosa che più mi spaventava era l’attenzione che, nel frattempo, essi riservavano ai miei due rivali, a cui affidavano le loro cibarie, come se volessero offrirgliele. Ma quest’ultima cosa non mi faceva arrabbiare: quei due poveri derelitti non mangiavano mai o, perlomeno, io non li vidi mai mangiare.

Ora che ci penso, forse la loro arroganza nei miei confronti derivava proprio dal fatto che i nostri umani nutrissero me, trascurando loro. La cosa mi sembrava molto strana, tanto che un giorno, nonostante le controversie che ci affliggevano, tentai di chiedere loro le motivazioni di questa dieta particolare ma, nonostante avessi passato il pomeriggio a miagolare, questi non davano segni di vita. Di certo non avrebbero avuto motivo di ignorarmi, anzi, li avrei aiutati: forse non erano in grado di comunicare o, ancora peggio, forse questo digiuno era appositamente fatto da loro, in modo da ottenere più attenzione la sera da parte dei nostri padroni?

Avevo molte perplessità in merito, dato che quest’ultimi non consideravano i miei due rivali per tutto il resto della giornata: forse vedevano gli animali domestici come un divertimento su cui concentrarsi per poco tempo nell’arco della giornata. Non che i miei due nemici non facessero altrettanto nei loro confronti, sia chiaro; ma mi chiedevo come fosse possibile, per degli esseri viventi, stare continuamente nella stessa posizione, senza muoversi di un passo, solo per quel contentino serale. Forse avrei dovuto provare a rivolgermi ai nostri padroni, ma il linguaggio umano mi è sempre parso incomprensibile: addirittura si dice che parlino in modo diverso in base alla loro provenienza geografica! Invece noi gatti abbiamo tutti lo stesso linguaggio: una delle cose che ci distingue gli uni dagli altri sta nel colore del pelo. A proposito, il manto che ricopriva la schiena dei miei due simili era diverso dal mio, mentre il loro era di un rosso acceso, vivo, uno di quei rossi che potrebbero sembrare innaturali, il mio era di un arancione leggero, un colore quindi più spento ma, ci tengo a sottolineare, non meno importante o bello. Pensavo a questa cosa e, nel frattempo, mi domandavo in che altro modo avrei potuto risolvere questo dilemma. Ormai lo sentivo come un dovere: se fossi riuscito a venire a capo di quella faccenda, finalmente avrei potuto dormire sonni tranquilli. Ma non era facile indagare senza l’aiuto degli interessati, potevo solo osservare. E ciò che vedevo erano due gatti dal manto rosso. 

Però, avvicinandomi a pochi passi da loro, notai delle cose che non avevo mai visto in nessun altro gatto: le loro zampe non solo erano molto più alte del normale, ma erano tre, non quattro! Inoltre queste non erano ben distribuite sui loro corpi, ma erano invece unite tra loro (come se fossero  incollate) e si riunivano al centro della loro pancia! Inoltre notai che, nonostante il dorso fosse rosso, era come se esso fosse bucato al centro, visto che riuscivo a vederci attraverso. Ecco spiegato il motivo per cui se ne stavano sempre fermi e si abbracciavano di continuo. Si aiutavano per non cadere.
E, probabilmente, i miei padroni, li nutrivano solamente la sera perché, se fossero ingrassati, il peso non avrebbe permesso loro di bilanciarsi a vicenda! Che situazione terribile dovevano vivere quei poveri animali. Le giornate passavano e io stavo sempre peggio; non solo mi sentivo in colpa per aver odiato quei due gatti, ma credevo anche di essere piuttosto inutile (dato che non potevo aiutarli) e ingombrante. Insomma, cosa era saltato in testa ai miei padroni? Perché prendere un terzo gatto, quando avrebbero fatto meglio a pensare solo ai primi due? Furono questi, in sostanza, i motivi che mi portarono a fuggire di casa. Certo, tornare a vivere in strada sarebbe stato terribile, ma non avrei sentito più quel pesante senso di colpa verso gli altri due felini. 

Purtroppo, poco più tardi, la mia bellezza mi cacciò in un altro guaio: infatti, mentre  ero in strada, un buffo signore coi baffi mi vide. Era vestito di bianco dalla testa ai piedi, ad eccezione del camice che, sebbene fosse dello stesso colore, era sporco qua e là di macchie colorate, con un buffo cappello sempre candido come la neve, ma che sulla sommità, oltre ad essere gonfio (come se ci stesse soffiando dentro qualcuno) aveva la stessa forma di quella di una nuvola. Egli, dopo essere sparito per qualche minuto, tornò con delle scatolette di tonno; avrei voluto leccare i colori sul suo vestito poiché, alcuni tra questi, emanavano un buon odore, ma non volevo sembrare irrispettoso. Dopo che ebbi finito di mangiare, l’uomo mi prese con sé e mi portò all’interno di quella che, probabilmente, era casa sua: non avevo mai visto niente di simile. Mi trovavo all’interno di un posto in cui decine di umani (tutti vestiti nello stesso modo del mio padrone) correvano da una parte all’altra della stanza, muovendosi qua e là tra i vari cubi presenti lì dentro. Questi, che erano grossi e alti, ospitavano delle fiamme, da cui ogni tanto schizzava fuori qualche colore dall’odore invitante. Purtroppo, mentre stavo leccandone uno dal pavimento, uno di quegli uomini mi vide e mi fece uscire dalla stanza. 

Fu allora che mi resi conto di essermi ritrovato in un posto ancora più orribile del precedente: ero appena finito in un gattile pieno di gatti identici a quelli da cui avevo cercato di allontanarmi.


Questo racconto è stato scritto dall’autore durante il corso di Scrittura Creativa de Il Melograno, condotto da Marco Caponera