Dalia camminava per la città sotto la pioggia, pestando violentemente ogni pozzanghera con le All Star già zuppe, mentre il cappuccio della giacca le gocciolava sulla faccia. Aveva perso il lavoro: licenziata perché si era infuriata con il capo e gliele aveva cantate di santa ragione. Controllò le indicazioni di Google Maps e alzò gli occhi facendo un paio di passi indietro per leggere meglio: JAM, pere e mele cotogne.
Piegò la testa di lato. Sotto l’insegna luminosa, si trovava una porta antipanico tutta nera. Abbassò la maniglia e spinse con decisione, sbilanciandosi in avanti.
Quando sentì l’imprecazione era già troppo tardi.
– Ehi, mi hai sbattuto la porta addosso.
Un uomo tutto bicipiti molli, capelli lunghi e pancia, la squadrò dalla testa ai piedi sistemandosi il gilet di pelle nera, che per quanto tirasse non riusciva a coprirgli il risultato di anni di bevute.
– Ti piace la birra eh? Beh, che hai da guardare brutta copia di Renegade? Non l’ho mica fatto apposta…
Una mano le afferrò un braccio proprio mentre l’espressione compiaciuta dell’uomo si stava trasformando in qualcosa di poco amichevole.
– Che fai Dalia? Non dovevi entrare da questa parte, vieni, sbrigati, ti devo far conoscere le altre!
Trascinata via dall’amica, la ragazza si congedò alzando il dito medio.
Quando la porta si spalancò e Betty finalmente le lasciò il braccio, Dalia ebbe modo di guardarsi intorno. L’ambiente era ampio, le pareti nere e il soffitto alto. Non c’erano finestre. Alcuni riflettori, montati su dei ponteggi di metallo lucido, indirizzavano fasci di luce colorati dentro a quelle che sembravano piscine gonfiabili rosa anni ‘80, circondate da sedie pieghevoli. Gli Aerosmith cantavano Janie’s Got A Gun.
– Ragazze, stasera ci sono quelli che la vogliono gelatinosa e anche quelli che la vogliono veder gocciolare e che la preferiscono liquida e bagnata. Dobbiamo attirare clienti, quindi non trattenetevi in alcun modo, l’unica regola, sempre la stessa, è non fargliela toccare.
Una ragazza esile e asciutta sorrise, sistemandosi i laccetti di un bikini paillettato. Dalia si infilò nel gruppo, facendosi largo tra i prosperosi davanzali di due maggiorate in sgambati costumi interi.
– Scusate? Cos’è che deve essere bagnata ma non toccata?
Quella che aveva parlato al gruppo, una rossa con i capelli ricci e vaporosi, scoppiò a ridere, facendo ballare i seni dentro i balconcini rossi del reggiseno.
– Questa deve essere la tua amica, Betty, e a quanto pare non le hai spiegato niente. Stavo parlando della marmellata, è la marmellata che non deve essere toccata. Questo è un locale dove ci lottiamo dentro cara, benvenuta tra noi. Il tuo nome?
– Dalia…sono Dalia, con chi è che devo lottare?
Tre settimane dopo, mentre Bon Jovi urlava il ritornello di Livin’ On A Prayer, Dalia usciva, tra cori da stadio e applausi, dalla sua piscina rosa con l’espressione compiaciuta e la marmellata alle fragole spalmata ovunque, perfino dentro il naso. Poco importava se ci avrebbe messo mezz’ora solo per farsi il bidet, non si sentiva così bene da anni. Aveva finalmente trovato una valvola di sfogo per la sua impulsività e veniva addirittura pagata per non trattenersi.
Passando di fianco a ‘Big Jim’, l’amico palestrato di ‘Renegade’, si passò la mano sul petto per poi leccarsi le dita piene di marmellata. La marmellata migliore che avesse mai assaggiato e anche di altissima qualità, visto che non provocava irritazioni né orticaria e che anzi sortiva un ottimo effetto scrub.
– Sei fantastica!
L’apostrofò l’uomo guardandola come se ne volesse un assaggio anche lui.
Ma l’attenzione di Dalia era stata portata altrove.
Davanti a lei se ne stava in piedi un tipo che non aveva mai visto prima. Alto e ben piantato, un bell’armadio a due ante di legno massiccio la guardava smarrito da sopra la sua camicia scura a quadri, da highlander scozzese. Stringeva qualcosa nella mano.
La ragazza incrociò quello sguardo timido e gli sorrise, mentre quel marcantonio, allungandosi verso di lei, attinse la marmellata dalla pelle del suo braccio, per poi succhiarsi le dita.
– Dalia, non dovevi lasciare che la toccasse.
Betty, allarmata, era arrivata in soccorso dell’amica, ma il tutto si concluse con lo sguardo triste e il capo chino dell’highlander. Quest’ultimo si voltò mesto, lasciando una busta in mano a Dalia.
– Sono soldi?
– E’ una proposta indecente?
– E’ una lettera d’amore?
– Ragazze, vi prego, calmatevi! Ora guardo.
Il tempo di avvolgersi in un accappatoio e di lavarsi il viso e le mani e Dalia aprì la busta.
II suoi occhi scorrevano rapidi, dapprima solo curiosi, poi sorpresi. Infine li sollevò dal foglio, indignata.
– Questo è fuori di testa, questo è… Non posso crederci! – Gridò. – Dice che non abbiamo il diritto di usare le sue marmellate per scopi che non siano alimentari, e che, se non smettiamo subito, agirà di conseguenza e si rivolgerà al suo legale.
Dalia aveva il respiro corto, gli occhi piccoli e fissi in un punto davanti a lei. Accartocciò la lettera stringendola nel pugno.
– Si firma Gerardo Landi, titolare di ‘LE MARMELLATE DI GERARDO’! Tranquille, con lui ci parlo io. Concluse, gli occhi come due puntatori laser potenzialmente mortali.
La mattina dopo Dalia era in macchina, sulla tangenziale che portava fuori città, con il piede pesante sull’acceleratore. Dopo due sorpassi azzardati e il mancato frontale con un camion, finalmente imboccò il viale che conduceva ai frutteti Landi. Frenò, lasciando un solco profondo sulla ghiaia.
Lui la stava aspettando fuori dal laboratorio di produzione delle marmellate. Le tese la mano e lei la strinse con tutta la forza di cui fu capace, non sortendo grandi effetti su quel braccio cesellato da vanga e zappa.
– Signor Landi io sono qui per…
– Vuole vedere il trituratore e la passatrice?
Le chiese invitandola ad entrare.
– No, francamente non mi interessano. Non sono qui per una visita guidata, lei non può impedirci di usare le sue marmellate. Si rende conto che è assurdo?
Gerardo Landi sospirò tristemente e si diresse verso una vecchia credenza smaltata in stile provenzale.
– Quello che facciamo con le sue marmellate è divertente, eccitante e non fa del male a nessuno, e non ci sono marmellate migliori delle sue…
La voce di Dalia si perse nell’aria, i suoi occhi si spalancarono. Deglutì.
L’uomo aveva aperto e posato su un tavolo alcune delle sue marmellate, forse per fargliele assaggiare, ma il punto non era quello. Dalia lo scansò per prendere in mano i vasetti e leggerne le etichette: ‘LE MARMELLATE DI GERARDO, apprezza la consistenza delle sue prugne…Succhia il suo mango… Manda giù il succo dei suoi ribes.”
– E queste cosa significano? Sembra una richiesta di aiuto erotica, per Dio! Lei non ha problemi con le marmellate, lei ha problemi con le donne!
Gerardo, rosso in volto, le strappò il vasetto che aveva tra le mani, schizzandole parte della polpa semiliquida sulla faccia.
– Mi scusi…- Sussurrò mortificato.
– No, non la scuso.
Dalia immerse le dita dentro il vasetto e gli accarezzò il viso e le labbra.
L’uomo la guardò finalmente negli occhi. Le sue pupille erano grandi e scure, come quelle di un giaguaro affamato.
La ragazza sorrise:
– Gerardo Landi, lei ha mai giocato con la marmellata?
Dalia quella sera entrò al Jam sulle note di Love to love you baby di Donna Summer, camminando lenta, rilassata, profumando di fragole e albicocche. Il volto disteso e sorridente, lo sguardo ebete.
– E allora com’è andata? E’ stato difficile, è andata a buon fine, possiamo usare le sue marmellate? Dalia parla! Alla fine te l’ha dato sì o no? Vogliamo sapere se te l’ ha dato!
– Cosa…
– Se ti ha dato il permesso!
– Ah, quello me l’ha dato, sì, me l’ha dato…
Questo racconto è stato scritto dall’autore durante il corso di Scrittura Creativa de Il Melograno, condotto da Marco Caponera