“Non è proprio il mio mestiere” pensa il cameriere, che nervosamente raccoglie una posata che gli è caduta dalle mani.
“Basta, concentrati o capiranno”, sussurra tra sé e sé mentre si alza per riporre la stoviglia sul tavolo. Un lungo sospiro, un momento di pausa con gli occhi chiusi, giusto per calmare la tempesta dentro di lui e lasciare che le braccia tese lungo i fianchi rilassino i pugni chiusi in fondo ad esse.
Lo sguardo ora vaga per il locale, si sofferma sui tavoli, con le loro anonime tovaglie a quadrettini bianchi e rossi e le posate sopra di essi, ora tutte perfettamente allineate dopo il suo, seppur maldestro, passaggio.
Ora la sua vista si posa sulle sedie anch’esse allineate e pronte ad accogliere i primi clienti, che dopo mesi di chiusura forzata tardano ad arrivare, sembra quasi un sollievo per lui quella solitudine, è il suo primo giorno e il sudore che bagna la sua maglietta sotto le ascelle, unito a quello che imperla la sua fronte tradiscono il suo nervosismo.
La quiete ora rimane solo nella sua mente, il silenzio del locale lo culla come una nave portata dallo sciabordio delle onde, il ronzio del climatizzatore lo rilassa come una lontana ninna nanna; tutto però viene spezzato da un cigolio sordo, come se le catene delle anime dannate fossero appena uscite dall’inferno, ma è solo il rumore della porta d’ingresso che si sta aprendo “ecco due rompicoglio…”, pensa il cameriere, ma non appena si volta verso di loro la mandibola, nascosta dalla mascherina d’obbligo, si apre, come se un peso da una tonnellata fosse legata ad essa.
Gli occhi ora sono fissi sull’ingresso, le pupille per un riflesso incondizionato si allargano a dismisura, come se una droga potentissima avesse preso il controllo del ragazzo, ma è solo l’adrenalina che scorre potente nelle sue vene.
Il primo impulso è la fuga, come una bestia braccata dai cani, ma la mente lo blocca, che lo controlla, lo calma, lasciandolo li impalato in mezzo alla stanza come una statua di sale.
I due poliziotti entrano nella pizzeria chiacchierano tra loro, mascherina abbassata sul volto, guanti di lattice nella mano, solo gli occhi sono ben visibili dall’esterno e loro insieme al linguaggio del corpo denotano solo tranquillità, stanno staccando da un lungo ed estenuante turno di controlli, vogliono solo ordinare una pizza al volo e poi andarsene a casa.
Il ragazzo, però, non lo sa o non vuole leggere i segnali dai due uomini in divisa, perciò deglutendo vistosamente, come stesse ingoiando un rospo enorme, si avvicina a loro e tenendosi una mano nell’altra all’altezza del petto, quasi a supplicarli, con un filo di voce si rivolge alle forze dell’ordine: “Buonasera agenti. Prego, mettetevi dove volete”.
I due si fermano un attimo sulla soglia, come fulminati dalle parole del giovane, quasi quel flebile rumore avesse spezzato il momento, come una nota stonata all’interno di una canzone, si guardano reciprocamente e con un cenno d’intesa il primo si rivolge al loro interlocutore: “Buonasera. Ce le faresti due margherite al volo?”.
L’altro: “Sì ma non prepararci il tavolo, tranquillo. Le portiamo via” e insieme varcano la soglia lasciando che la porta sbatta dietro di loro.
Sentendo lo slam dell’uscio il cameriere ha come un sussulto, un fremito percorre la sua spina dorsale, lasciando che il suo cervello scateni un incontrollato impulso elettrico che irrigidisce tutto il suo corpo; lasciandolo in quella ridicola posizione di preghiera, quasi non fosse una persona reale, ma una delle tante statue supplicanti presenti sulle guglie di una chiesa.
Solo un momento per riordinare le idee e calmare la marea di emozioni che giacciono al suo interno e il cameriere piano piano si ricompone, portando quasi automaticamente la mano destra al taschino della divisa, a prendere il taccuino per poter raccogliere le ordinazioni dei due uomini di fronte a lui.
Il poliziotto sulla sinistra, vedendo il movimento, alza la mano verso il ragazzo, come a volerlo fermare subito e con voce calma replica al suo movimento: “Segna: due margherite, una con rinforzo di mozzarella e l’altra con olio piccante. Più veloce che puoi ragazzo, non abbiamo molto tempo” e detto ciò abbassa la mano, voltandosi verso il collega al suo fianco e iniziando a parlare con lui di tutt’altro, quasi il cameriere non fosse più presente all’interno della stanza, ma fosse solo uno spettro etereo non più degno della loro attenzione.
A quelle parole il cameriere si blocca per un istante, lo sguardo per un attimo indugia sui due interlocutori, che si trovano di fronte a lui, ancora un momento e poi le mani ricadono lungo i fianchi neutre; un ultimo sospiro, quasi a darsi coraggio e le gambe gli fanno fare una rotazione di 180 gradi, voltandolo verso il bancone della pizzeria, verso il quale, un piede dietro l’altro si sta dirigendo.
Mille pensieri si susseguono nella mente del giovane, mentre si dirige verso la sua meta, il passo è lento e assomiglia quasi ad una marcia militare, come se le sue braccia e gambe fossero unite da dei fili invisibili e si alzassero in sincronia tra loro.
Ora delle parole, dapprima ovattate poi sempre più chiare, giungono al suo orecchio, qualcuno ha acceso la televisione del locale, appesa poco sopra al bancone.
È il telegiornale che parla approfonditamente di un detenuto fuggito dal cellulare che lo trasportava. Le parole risuonano all’interno della mente del cameriere, rimbalzano impazzite come le biglie all’interno di un flipper, il sudore imperla la sua fronte e il volto si fa sempre più pallido, come se un bianco sudario lo avesse ricoperto, ma come un automa il suo corpo continua nel suo incedere quasi ormai la mente non lo controllasse più.
Un macigno si posa sul suo stomaco, lasciando che le sue viscere si torcano come i fili intrecciati di una corda, i denti sotto la mascherina si digrignano, provocando un leggero stridio sordo, come se delle minute unghie stessero passando su una lavagna vuota; lo sguardo deciso rimane rivolto in avanti come a scacciare le due presenze dietro di lui, ma l’impulso di vedere la loro reazione è troppo forte e la testa automaticamente si volta verso loro.
Errore imperdonabile.
I due poliziotti intenti a chiacchierare non fanno caso a quello che sta dicendo la televisione, ma si bloccano all’istante non appena sentono il trambusto davanti a loro; lo sguardo si volta verso l’origine di quel rumore e vedono una sedia divelta, il tavolo leggermente spostato e il cameriere a terra supino, istintivamente uno dei due va verso il ragazzo per aiutarlo a rialzarsi. Non appena giunto vicino a lui però rimane per un attimo stupito, imbambolato, come un pugile che ha appena ricevuto un colpo, i suoi occhi si allargano come avessero visto un fantasma e la bocca ora aperta fatica proferire verbo; dopo questo iniziale stallo subito la mano destra scende lungo il fianco a cercare la pistola e la voce gli esce in maniera automatica come avesse provato la scena mille volte: “Fermo, non ti muovere!”
Il colpo della sedia e del tavolo gli arrivano sulla gamba destra come una frustata, le mani istintivamente si portano subito avanti per cercare di spostare l’ostacolo, ma è troppo tardi la sedia cadendo fa leva sul suo arto inferiore facendogli perdere l’equilibrio. Il colpo con il freddo pavimento non è molto forte, ma la testa batte su di esso e con un movimento strano sgancia la mascherina dal suo orecchio lasciandola penzolare dall’altro. Ora le mani tastano il terreno e in qualche modo fanno leva sul suolo lasciando che il busto inizi ad alzarsi, ma lentamente, un leggero dolore pervade la sua parte occipitale, il colpo lo ha danneggiato più del previsto e i suoni ora sembrano più ovattati quasi avesse del cotone all’interno delle orecchie. Per questo non sente subito il rumore di passi alle sue spalle, ma solo quando ormai sono vicinissimi e senza curarsi del fatto che il suo volto sia scoperto si gira verso di essi come a cercare un aiuto.
La visione del poliziotto dietro di lui lo raggela all’istante, il cuore inizia a battergli all’impazzata e l’adrenalina inizia a scorrere per tutto il suo sistema circolatorio, come per un pugile sul ring l’ormone fa dimenticare al ragazzo il dolore alla testa e lo fa scattare in piedi come un pupazzo a molla. Ormai il corpo, per sua fortuna, ha superato la mente e senza pensarci un secondo inizia a correre verso la porta di servizio del locale.
All’urlo del collega il secondo poliziotto reagisce in maniera più fulminea, senza proferir parola porta subito la mano alla fondina e con mossa esperta estrae l’arma portando il pollice sul cane della pistola e allargando le gambe per avere più stabilità ed essere subito pronto a sparare.
Il campo di tiro però non è libero, l’altro poliziotto, forse preso dalla foga, non è rimasto fermo nella sua posizione, ma ha iniziato a inseguire il cameriere, lasciando la sua mano sulla propria fondina senza estrarre; questa innaturale posizione però non è adatta alla gincana in mezzo ai tavoli e fa perdere l’equilibrio all’uomo che goffamente si ribalta sul tavolo più vicino lasciando al ragazzo quel poco di vantaggio che gli permette di mettersi in salvo dietro alla porta.
Il cameriere sente solo il suo respiro affannoso e il suono dei suo passi veloci sul pavimento, un tavolo gli si para davanti e con riflesso fulmineo scarta a sinistra per superare l’ultimo ostacolo verso la propria libertà. Una litania rimbomba nella sua mente “Corri, come non avessi mai fatto nella tua vita”, “corri cazzo, corri!” ma viene interrotta da un rumore sordo alle sue spalle, questa volta però non ripete l’errore precedente e lo sguardo rimane fisso sulla porta basculante del retro del locale che con un rapido movimento in avanti della mano viene aperta e richiusa alle sue spalle con la stessa forza, come quelle di un antico saloon del west.
La cucina si apre davanti a lui e subito individua l’uscita di sicurezza, la corsa affannosa continua verso di essa la mano protesa in avanti, come ad indicare la sua ultima speranza, la barra della maniglia antipanico cede sotto il suo peso, provocando un sordo e cigolante rumore quando la porta si apre. La corsa non si ferma, il respiro però adesso è meno veloce, il sudore che prima scendeva copioso dalla sua fronte sembra essersi fermato, come se fosse stato chiuso il suo rubinetto, ma ora un altro se ne apre dai suo occhi e leggere lacrime di gioia scendono sulle sue guance, a suggellare quel piccolo e sfuggente momento di libertà.
Questo racconto è stato scritto dall’autore durante il corso di Scrittura Creativa de Il Melograno, condotto da Marco Caponera.